Costanza Quatriglio è la fotografia di quel cinema indipendente italiano che ti fa venir voglia di prendere a calci in culo chi non le dà l’opportunità di fare film più grandi e “comodi”. Ma è anche la dimostrazione di come talento e passione possano emergere persino in una Settima Arte scalcagnata e devastata come la nostra. Dopo Con il fiato sospeso, lavoro speciale nel formato e nel contenuto, nello stile e nelle intuizioni, passato a Venezia con il suo minutaggio atipico, ecco ora Triangle, documentario non meno sorprendente.
Con un doppio spartito la cineasta ci porta nel passato remoto e in quello recente, per farci piombare, curiosamente un giorno dopo la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, in morti bianche capitate a donne. Diritti non rispettati, come donne e lavoratrici, che portano all’epilogo più drammatico. Apparentemente, dunque, un racconto quasi didascalico sull’ingiustizia, un’opera programmatica. Di fatto, invece, un viaggio in due storie ben più complesse e profonde delle cifre che le riguardano, dei fatti nudi e crudi. Come spesso, se non sempre, le accade, la cineasta siciliana impugna l’anima delle protagoniste, le fa risorgere nella loro forza e umanità, ci restituisce l’orrore quotidiano ma anche la dolcezza di vite che non andavano recise.
1911, ottavo piano del grattacielo di New York tra Washington Square e Greene Street, delle operaie tessili muoiono per l’incendio di un maglificio fantasma. La fabbrica si chiama Triangle. 2011, Barletta. Crolla una palazzina, dentro vi sono operaie che lavorano in nero. Con loro perde la vita anche la figlia del datore di lavoro. Di chi quel laboratorio l’ha messo su e lavora egli stesso in condizioni infime, per battere la concorrenza sleale di chi rifornisce quei marchi che tutti compriamo, perché i loro prezzi bassi sono figli di quanto loro valutano il lavoro altrui.
Quatriglio cerca l’altro lato del triangolo del titolo, la decadenza sociale e dei diritti che dall’oppressione sociale e l’immaturità civile del primo Novecento, in cui le lavoratrici sono animali da soma, che possono morire in 150, di sabato, perché vanno spremute, passano alla globalizzazione di un capitalismo in curatela fallimentare, sistema clamorosamente crollato sotto il peso dei propri errori, ma tenuto in piedi dall’appoggio sleale di politica e grandi formazioni finanziarie e politiche. E quelle cinque vittime, raccontate dall’unica superstite, Mariella Fasanella, ci dicono tutto di come quella palazzina venuta giù sia metafora pesantissima della fine di un sistema che tutti pretendono di tenere in vita. Di come quelle donne siano unite dalla schiavitù, prima legale e inconsapevole, ora illegale e consapevole.
Max, Dora e Pauline parlano mentre le immagini in bianco e nero, bellissime e vere, ben scelte e montate con abilità e sensibilità, scorrono davanti ai nostri occhi. In quelle sequenze c’è la fiducia nelle “magnifiche sorti e progressive” del nostro mondo. In Mariella c’è la rassegnazione alla sfiducia in quel progresso tradito, con occhi meravigliosi e tristi ci accompagna nella vita di quelle operaie e ce le fa toccare, conoscere. Tanto che quando arriviamo a sentire Ricominciare del neomelodico Carmine Zappulla, quella canzone ci rimane dentro come fosse un capolavoro.
Un’ora, anzi 63 minuti. Un altro minutaggio atipico. Ma Quatriglio mostra la sua bravura commovente proprio nel cercare strade altre e alternative per raccontare, mostrare, tirar fuori da dentro lo spettatore ciò che chi guarda non immagina di avere. Di lavoro si parla poco e spesso male al cinema, perché si finisce per entrare nell’ideologia, nella banalizzazione, nella facile contrapposizione. La cineasta che prosegue a mostrarci un’Italia sbagliata, invece, sa farci vedere ciò che abitualmente ignoriamo, magari volutamente. E alla fine del suo film non siamo più spettatori, ma complici. Dell’autrice e della protagonista, se prendiamo posizione, di chi ha ucciso quelle donne – il Sistema più che un padrone che, nel caso di Barletta, ha perso ciò che aveva di più caro in quella tragedia – se continueremo a far finta di niente.
Bravo Paolo Virzì a scegliere Triangle per la sua sezione Diritti e Rovesci. Brava Costanza Quatriglio perché, anche senza grandi distribuzioni e major a produrla, sa fare il suo cinema. Senza paura, con grandi sacrifici, con una potenza gentile che pochi hanno. Anzi, in Italia nessuno.