Bonifacio Angius e Giulio Base. Sardegna e Torino. Perfidia e Mio Papà. Cinema italiano indipendente di natura e impostazione molto diversa, ma unito da una riflessione su precarietà e paternità modernissime.
Non sono film perfetti, ma opere interessanti, coinvolgenti e appassionanti. Non scelgono strade facili e già troppo battute, vanno a fondo di un disagio di un figlio troppo vecchio o un padre che si sente giovane (e lo è), senza ignorarne la complessità.
Un paese mammone, si riflette, direttamente e non, sulla figura paterna: un tempo il cinema uccideva i padri, poi li ha blanditi e fatti imborghesire, infine perduti, tranne qualche eccezione. Ora, complice l’assenza di donne nelle sceneggiature e di un certo maschilismo di tutto il sistema, ci ritroviamo di fronte a uomini fragili, problematici, alla ricerca di sé o di un ruolo. Da raccontare, per capirci meglio.
Bonifacio Angius ci mostra Angelino, 35 anni, all’apparenza bamboccione ma in realtà giovane vecchio dolente radicato nel proprio Dna e nel proprio territorio, in cui padre e Sardegna sono “genitori” ingombranti con cui è difficile ma necessario convivere.
Stefano Deffenu e Mario Olivieri sanno raccontarci cos’è l’Italia di oggi, fatta di generazioni che non si capiscono, che vogliono difendere il proprio spazio e si accorgono di dover combattere unite troppo tardi. Lo fanno con una recitazione differente, che agisce sui gesti, sugli sguardi, sulle idiosincrasie.
Dall’altra parte, Mio papà di Giulio Base segna il ritorno al cinema di qualità di un regista che si era un po’ perso, seguendo il sentiero televisivo, tanto redditizio quanto qualitativamente mediocre. Lorenzo, interpretato da Giorgio Pasotti, ha anche lui 35 anni. Ma non è più figlio, è padre. O quasi, perché la paternità lo investe casualmente. Sentimentalmente è consapevolmente immaturo: con le donne sa il fatto suo, ma per evitare coinvolgimenti le usa per una notte e poi le butta via. Finché una, Claudia, non gli ruba il cuore. Lei ha anche un figlio e lui deve fare una scelta. Qui non ci troviamo nel dramma intimista di Perfidia ma in una commedia sentimentale agrodolce, in cui Base sceglie un linguaggio semplice che però sa andare in profondità. Trova un modo espressivo felice ed efficace, il regista, raccontandoci quanto, nell’età di mezzo di chi non è più giovane e forse non ancora adulto, deve prendere delle decisioni, pur cercando di evitarle.
In un’Italia così precaria troviamo registi, nel cinema italiano indipendente, che affermano la volontà di capire le radici di queste difficoltà di (con)vivere. In un mondo, in un paese in cui i figli non riescono a divenire padri, in primis di se stessi. E sono due cineasti molto diversi tra loro a intuirlo, regalandoci due buoni film, interessanti e con più piani di lettura. Non dei capolavori, ma opere su cui riflettere.