L’Ulisse della Beat generation

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UlisseArteUlisse era un pirata puttaniere che scorrazzava per il Mediterraneo spinto dai suoi bassi istinti in cerca delle lattaie calabresi. Questa visione dissacrante, al limite dell’eresia per i benpensanti, è la visione del mito che un giorno a Scilla ha folgorato Lawrence Ferlinghetti, uno dei massimi poeti e scrittori contemporanei. Proprio lì a due passi dallo Stretto è nata una serie di quadri in cui lui, uno dei geni dei nostri tempi, ha descritto la sua versione dell’Odissea.

L’Ulisse calabrese, questo il nome che prende il gruppo di ventiquattro opere, partorita sulle sponde del Mediterraneo durante un soggiorno a Lazzaro dal poeta americano di origini italiane. Giada Diano, la curatrice delle sue opere e sua biografa ufficiale, racconta così la genesi della rivisitazione del mito da parte di Ferlinghetti: «Un giorno l’ho portato a Scilla, mentre eravamo lì le campane della chiesa hanno iniziato a suonare e lui, che quando siamo in giro è come un bambino di due anni, ha iniziato a fare dei balletti e a dire “Ecco da cosa doveva scappare Ulisse, io lo sapevo sono le sirene della Chiesa, sono pericolose, dammi il chewingum”. Si mise il chewingum nelle orecchie per non sentire le “sirene”. Dopo aver fatto tutto questo teatrino sulle “vere sirene” da cui doveva fuggire Ulisse, siamo tornati a casa e ha voluto rileggere il dodicesimo canto dell’Odissea, l’ho stampato su dei fogli di carta normale. Allora ha preso questi fogli e li ha sparpagliati cominciando a fare degli schizzi. I dodici disegni preparatori sono nati così e infatti sotto si vedono delle note a margine e il canto originale. Lui li ha fatti sul tavolo della mia casa di Lazzaro con inchiostro, mani, pennelli, saliva e vino per sfumare».

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Una volta tornato a San Francisco Ferlinghetti ha trasformato quegli estemporanei bozzetti in dei veri quadri e ha scritto la sua versione del viaggio di Ulisse. Una geniale rivisitazione iconografica e letteraria, un’ironia racchiusa in quelle tele e in quel componimento che il mondo non può ammirare per la mancanza di una struttura che possa ospitarle. Ferlinghetti ha infatti regalato la serie dell’Ulisse calabrese a Giada e lei vorrebbe utilizzare queste opere per creare una permanente e un Centro per le Arti Ferlinghetti. Uno spazio democratico in cui far avvicinare le persone all’ arte moderna e contemporanea. Ci sono già altri importanti artisti americani contemporanei , come Jack Hirschman, Agneta Falk, pronti a donare dei loro pezzi una volta individuato un luogo in cui creare questa struttura. Giada avrebbe voluto realizzare questo progetto nella sua Calabria, anche per onorare il luogo che ha ispirato il poeta americano. Lei però non è una che porta voti e questo centro non è politicamente conveniente, glielo hanno detto più volte tra le righe. Dopo anni di vani tentativi ha rinunciato e spera di poterlo realizzare in Italia, ma la cultura nel nostro paese deve scontrarsi con gli intoppi burocratici e i tagli al bilancio.

La serie per ora continua ad essere gelosamente custodita e protetta da Giada, che in America in tre giorni riuscirebbe a creare un Centro all’avanguardia. Lei è testarda e non si arrende. Tenterà ancora.