Il canone è il vero nemico della Rai. La questione della governance, il ruolo dei partiti, il rapporto con il governo, il pluralismo dell’informazione, i tagli agli sprechi: sono tutte questioni marginali. Il canone invece è il vero focus del problema della Rai perché è anacronistico e irrazionale. La licenza di servizio pubblico e il contratto biennale non hanno la possibilità di scendere nel dettaglio: rimangono nello spazio indefinito delle raccomandazioni generiche. Si dovrebbe fare così, si auspica che, eccetera.
Il canone, quindi, è come un contratto di affitto che si paga per una casa che in realtà non si può abitare. Il risultato si è visto. La lotta dei palinsesti con le tv commerciali, la schizofrenia della presenza sul satellite (prima sì, poi no, adesso forse), l’inutile moltiplicazione dei canali sul digitale, gli stop and go sul web (prima con Google e poi contro Google, prima si apre Rai Net, poi la si chiude facendo fuori tutto il management che l’aveva fatta diventare una case history d’eccellenza in Europa), la concorrenza cruenta sui diritti sportivi (quest’anno, per la prima volta, non sono serviti neanche a dare un po’ di ossigeno alle esangui casse della concessionaria della Rai), l’incerta presenza sui mercati internazionali (prima Rai Trade, poi niente, adesso Rai Com ma senza risorse). L’elenco è lungo.
Se il canone fosse abolito, invece, la Rai sarebbe finalmente libera di volare sul mercato con un ampiezza di orizzonte adeguata ai propri mezzi e ai propri talenti. Potrebbe varare servizi a valore aggiunto (e a pagamento) e entrare da protagonista, per esempio, nel mondo del Video On Demand (le teche Rai non hanno concorrenti ma adesso vengono distribuite gratuitamente). Potrebbe varare una policy di “competition revolution” come ha già cominciato a fare la BBC, snellendo le pratiche di partnership e guadagnando così maggiori strumenti contro la corruzione. Potrebbe tornare ad essere protagonista su quei tavoli di mercato dove ora si stanno discutendo (senza la Rai) alleanze inedite fra televisione e telefonia. Suona paradossale infatti che si giochi con Rai Way in borsa senza poter sedere ai tavoli dove si prendono le decisioni. Suona irrazionale oltre che paradossale.
La Rai liberata dal canone invece potrebbe riguadagnare anche una posizione di prestigio nel mercato delle news, con accordi più aggressivi e prospettive inedite. Per quanto riguarda la licenza e il contratto di servizio pubblico, si potrebbe infine tornare ad una prassi più sana. Ogni volta che Governo, Parlamento o sindacati hanno bisogno di un servizio (pubblico) si stipula una convenzione ad hoc. Il cittadino pagherebbe così per un servizio facilmente identificabile. In Rai si lamentano di essere sempre al centro del mirino. Tutti parlano male di noi, dicono. E’ ovvio. Il rapporto di collaborazione fra la Rai e lo Stato non è mai stato così poco chiaro. Bisogna riscriverlo da capo. Partendo da un principio di semplicità e di trasparenza.
Il cittadino, alla fine, sarebbe disposto a pagare ma solo se qualcuno si prendesse finalmente la briga di spiegargliene il motivo.
[…] su Ilgiornaleoff il 2 dicembre […]
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