Quai Ouest, l’inutile marcia dell’homo sapiens

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Koltes, il più grande tragico del tempo ci rimane da vivere 

QUAI-OUEST-Groppali-557x262Più che il capolavoro postumo “Roberto Zucco”, “Quai Ouest” o “Approdo di ponente” come recita il titolo italiano dell’eccezionale spettacolo varato a Prato da Paolo Magelli, segna un punto di non ritorno nel modo di rappresentare nel nostro paese un autore del calibro di Koltes. Che d’ora in poi dev’essere a buon diritto considerato il più grande tragico del tempo che, come direbbe lui stesso, “ci rimane da vivere”. Dato che il narrato di un simile autore, non a caso sconfitto da un male atroce quando era in piena attività creativa, si concreta nella più disperata confessione d’impotenza sulla sorte ultima dell’uomo e del pianeta che finora l’ha accolto, per stritolarlo nella sua morsa.

Noi spettatori ci troviamo  sospesi come per magia nell’ hangar limitrofo di un porto a due passi da una città industriale che siamo a destinanti non vedere probabilmente perché non esiste più. Ci muoviamo infatti tra un rotolo di tela cerata, un argine precario ricavato da una pila sconnessa di cartoni, e un mucchio di detriti sospesi all’uncino di un improbabile soffitto mentre, ai nostri piedi, si scorge un mare di fango, lambito dalla tenace insidia dell’acqua e bagnato dal raggio impietoso del timido sole degli esclusi. Non esiste traccia dell’antico homo sapiens, dato che ogni componente del gregge una volta definito come umano scorre senza espliciti riferimenti a oggetti come a soggetti. Morendo e vivendo in continua fuga in un al di qua che è il riflesso demoniaco dell’al di là. Col borghese Koch di un eccellente Paolo Graziosi, dall’aspetto di un condannato alla forca, che implora uno due mille altri dannati alla più macabra disgregazione di trovargli due pietre, da ficcarsi in tasca per poter finalmente raggiungere la morte sotto la limacciosa acqua dell’arenile in cui affondano i dannati della terra. Abitatori  di un immondo canale di scarico dove si aggira vestita da sciantosa la Cecile tenera e svagata di Alvia Reale, che sfodera magistralmente le unghie contro l’infido sonnolento Charles di Francesco Borchi. Quest’ultimo Sfaticato e disutile come un attrezzo arrugginito, sedotto da un amletico sonno, in bilico tra l’arroganza smodata del Fak di Fabio Mascagni, il sorriso apatico e brutale del Rodolfe di Mauro Malinverno e l’adolescente-relitto della dotata Elisa Cecilia Langone persuasa da questi dannati a praticare il sesso nella sua accezione più bieca.

Cosa racconta infatti “Quai Ouest” se non l’inutile marcia dell’homo sapiens nei confronti di una civiltà di cui si e’smarrito il senso, nella continua fuga delle stagioni e nel catastrofico ripudio di qualsiasi ideologia di compensazione? Che qui si compendia nell’omicidio del negro coinvolto dal caso in un delitto inutile secondo la regia di Magelli, splendido e sconsolato animatore di una macabra danza di fantasmi.

QUAI OUEST – di Koltes. Regia di Paolo Magelli.
Teatro Meta Stasio Stabile della Toscana, a Prato.