I veri eroi? Quelli che si trovano la casa occupata

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Più che cosa e come fare, oggi l’ossessione è il posto dove farlo. L’occupazione, intesa come lavoro, è motivo di angoscia per molti italiani ed i governanti. Non importa di che lavoro si tratti, basta che sia un posto di lavoro, cioè di reddito. Tanto che qualcuno ha minacciato di occupare fisicamente i luoghi di lavoro ancora esistenti, quasi che facendo la guardia alla scrivania o alla bulloneria, ne si garantisca l’esistenza. Esplosiva è anche la ricerca di un posto dove vivere. Anche l’occupazione di abitazioni è motivo di angoscia.

In pochi anni una massa enorme ha occupato abusivamente, per restare solo a Roma e Milano, circa mille palazzi. Quasi tutte situazioni da clochard che degradano gli stessi occupanti peggiorandone le sorti o impedendone qualunque progresso. Non formano quartieri, non sviluppano la comunità locale. Distruggono qualunque anche lontano pensiero di urbanistica, molto più di quanto non abbia fatto la speculazione edilizia.Qualcuno ha organizzato un clima militarizzato e omertoso, collettivista per gestire le occupazioni a tappeto. Come se questi spazi deturpati ed antigienici possano essere chiamati casa. Non sono più case, nemmeno quelle che un tempo lo erano. Ne sono l’antitesi, come lo sono della famiglia e della privacy, i valori connaturati al proprio domicilio, i motivi che li rendono tanto importanti per gli italiani. A fine ’80 c’era il flagello droga. Si portava via gli adolescenti ed i giovani come la peste nera. Al punto che le famiglie, di fronte all’ignavia della politica, cominciarono a fare le ronde nelle piazze dove i pusher erano all’epoca più numerosi delle prostitute e dei travestiti di oggi. Novembre ’14, contro il flagello occupazione, di fronte all’ignavia della politica, le famiglie tornano a fare da sé.

Nelle ultime settimane 5 volte a Milano, gruppi di inquilini, di donne di mezz’età e capelli bianchi, hanno cacciato gli occupanti, messo in fuga furgoni, manifestato per strada, allarmato poliziotti e funzionari che hanno dovuto mettere in salvo dall’ira popolare i rom occupanti. Le persone di cultura non sembrano capire tutto ciò. Si schierano dalla parte dell’occupazione abusiva dell’alloggio e del lavoro in nome di astratti diritti atavici, quasi animali. Non si preoccupano del reddito, del decoro, dello sviluppo, del progresso, tutte cose che hanno bisogno di contenuto, di un’idea del cosa e come. Sarà perché sono quasi tutti abituati a non preoccuparsi di cosa trattare, e come, ma solo di occupare spazi mediatici e di promozione, di autocitazione. Sarà perché il metodo funziona e chi ha occupato al Macao, al Teatro Valle, al Sale a Milano, Roma Venezia, oggi fa l’assessore qui, gestisce le relazioni capitoline o ha traslocato in Rai in massa sotto un Gazebo bisettimanale. I promotori della festa novembrina di autofinanziamento di Macao si chiedono mestamente dove sia finita la cosiddetta cultura indipendente, dopo gli sgomberi romani del Valle, del Volturno, dell’America ed ultimo in ordine cronologico del milanese Zam. Non si avvedono che i loro ispiratori, quarantennali autori Rai e noti scrittori, membri della corte costituzionale, baroni universitari, si sono stufati di loro, sono passati a nuovi giocattoli alternativi, magari digitali. Con la faccia di bronzo di lasciare ad altri la responsabilità ed i costi. Magari corrono al nuovo show dell’ocupazione culturale, in quel di Torino. Il luogo è da leccarsi i baffi, stretto tra le bellezze della vecchia Torino degli architetti Juvarra, Alfieri e Mosca, tra Teatro Regio e l’Auditorum Rai, il Teatro Gobetti, il Teatro Carignano e il Museo del Cinema. Mica il Giambellino dell’ira popolare. Qua ci sono le stalle della cavalleria reale sabauda, quella che s’immortalò in Crimea, quella delle cariche di Balaklava. Tramontata la monarchia, stalle e sale del Maneggio Reale, Manica Lunga, Manica Corta e Salone delle Guardie diventarono sede del Cral degli ex dipendenti di casa Savoia.

Il complesso, detto Cavallerizza Reale, settecentesco come il Valle, fu poi messo a disposizione del Teatro Stabile di Torino, trasformato in palchi, sala prove, depositi, ripostigli, camerini. E’ del Comune da un secolo, dal ’97 patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, oggi in via d’abbandono. Il sindaco Fassino non è in grado di manterne i costi. Così da 6 mesi è occupato per impedire l’arrivo di investitori con la solita balla della trasformazione d’uso in, chissa? bingo, pub, deposito all’ingrosso. Come fosse possibile in un sito così storicamente identitario. I soliti casuali cittadini montano la guardia; hanno trovato tempo e mezzi per una gara internazionale di video artisti a sostegno dell’occupazione. La fiera Artissima in corso, ospiterà gli insulti videoart nei confronti del Comune patrocinatore. Difficile che i teorici del bene comune Settis, Montanari e Mattei, già sul posto, sappiano dire cosa fare della Cavallerizza una volta che il Comune paghi magari con maggiorazioni su autobus e rifiuti. Difficile che i videoartisti raccontino cosa facciano, come campino, se lavorino questi militanti dell’occupazione culturale, tra i pochi fortunati che non hanno, a quanto pare, problemi con i posti di lavoro e con la casa. Nessuno racconterà il mediocre eroismo di chi si è fatto una casa borghese e la difende dalle tasse dall’alto e dalle occupazioni dal basso; di chi dovrà pagare ancora per qualche ora di retorica a buon mercato sulla necessità storica della Biada Comune. Solo un Eizenstejn potrebbe, dalle brume, riportare in vita i cavalieri di Balaklava e riprenderne la carica sui rivoluzionari in pelliccia fino alla liberazione delle stalle. Affatto ossessionati dal posto dove fare, pensavano, fino alla morte, solo al cosa fare e come.

1 commento

  1. Esiste un sistema per liberarsi degli abusivi, si usava contro i ladri di polli, e ,non tanto tempo fà.
    Fucili caricati col sale,è assolutamente sicuro, non uccida, ma fa male …….. il resto si può immaginare
    usarlo anche contro i politici che fanna gli gnorri coi loro vitalizzi intoccabili!

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