Al di là della Leopolda e del vecchio sindacato rosso

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Le due sinistre che si sono confrontate in questo week end – la Leopolda di Renzi, la piazza della Camusso – non ci piacciono per motivi diversi, ma simmetrici.

La manifestazione della Cgl capitanata da Susanna Camusso ci riporta indietro di anni e anni. Comprendiamo che fino alla reggenza Berlusconi i sindacati avessero una posizione ideologica e reazionaria nei confronti di un governo liberale, fatichiamo però a capire i dissensi con una sinistra riformista. I sindacati che soffrono – seppur con qualche anno di ritardo – la stessa crisi dei partiti storici, oggi non sono più i luoghi della rappresentanza, o meglio essi ancora difendono classi e gruppi residuali, se non ancora numericamente (per esempio i pensionati) certo dal punto di vista della forza propulsiva: non sono più i motori della storia, semmai i freni.In questo senso ha ragione Renzi, i sindacati in piazza non hanno capito il passaggio del tempo, come se volessero infilare il gettone nello smartphone, o sentire la musica nel jukebox e non con l’i-pod; la cosa più strabiliante, al di là della Camusso e della Bindi, giustamente da rottamare in fretta, è la presenza di Civati che da ex leopoldino si mette a capo della reazione sindacalista, lui pure così carino, smart, tutto il contrario del modello operaista anni Settanta.

La Leopolda è apparsa una kermesse poco convincente, un sottovuoto gonfiato fino all’inverosimile. Se è vero che Renzi ha completato il passaggio dal partito pesante a quello leggero, modello America e tanto caro a Veltroni, il risultato è imbarazzante. La cosa più imbarazzante è la credibilità che Renzi gode ancora tra gli italiani di sinistra: uno che dice “ho capito che l’Italia era scalabile e l’ho scalata”. Nella sua tragica realtà fa così ridere che nessuno grida al golpe. D’altronde come diceva Flaiano “La situazione politica in Italia è grave ma non è seria”.E Matteo, che dietro l’apparenza comica nasconde vanità e desiderio smodato di potere, per ora è arrivato al comando non passando dalle elezioni, la qual cosa appare almeno stravagante in un Paese che si definisce democratico. Ma che la democrazia l’ha smarrita tre anni fa, con un golpe tecnocratico.
Per il resto la Leopolda è stata la passerella di tutto quanto non amiamo: un giovanilismo smodato (ma anche un giovane può essere ben cretino), la protervia della leggerezza, il nuovo come unico orizzonte possibile, la cultura degradata a barzelletta. Non a caso i rappresentanti di questo nuovo gramscismo da i-pad sono stati Fabio Volo e Pif, intellettuali del nuovo regime che da Topo Gigio è passato ai Pokemon, senza transitare da Marcuse o da Marx.

Più in generale questo week end ha evidenziato la bulimia della sinistra che ha occupato ogni spazio politico possibile: al contempo è sinistra di governo, sinistra di opposizione, sinistra responsabile e di piazza, liberale, libertaria, riformista, socialista, comunista, carina e cocciuta, vecchia e nuova, bella e brutta, a favore della finanza e contro, a favore del lavoro e contro, europeista ed euroscettica.

Che cosa resta di non coperto? Di non rappresentato? Chi sono quelli che non hanno voce né faccia? Semplicemente, e scusate se è poco, chi incarna la realtà dei fatti. Nessuno parla della categorie produttive, vitali (ancora ci sono, eccome) della nostra economia e della nostra Cultura. Chi ha tirato e tira la carretta da decenni, nella bolla mediatica del conflitto vecchio-nuovo scompare. Ed è una vergogna.

Alla Leopolda e nelle piazze dei sindacati non ci sono i piccoli imprenditori massacrati dagli studi di settore e da una legislazione fiscale demente. Non c’è chi realizza prodotti industriali di eccellenza, ma non ha abbastanza spirito per apprezzare le battute sui telefonini a gettone, e comunque la mattina apre lo stesso un’azienda di venti o quaranta dipendenti, e prova a dare battaglia. Non c’è chi magari ha un’azienda agroalimentare e si trova strozzato da mille regole e regolette imposte dall’Unione Europea. Non c’è il gestore di un bar sottoposto a una serie infinita di controlli ma che vede il dirimpettaio cinese che sfugge a qualsiasi ispezione. Non ci sono i piccoli operatori che con la Cultura ci mangiano, o ci provano: chi gestisce un teatro o anche solo un locale con musica dal vivo. Sono gli OFF dell’economia e della Cultura. Ecco noi stiamo con loro, e non ci interessa né delle ammuffite e rovinose bandiere rosse; né delle innovazioni linguistiche leopoldiane.