Marino se sente la parola “cultura”, mette mano alla fondina

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Quello che fu il sogno pop di Veltroni, di una Roma al centro della cultura italiana, è stato affossato dall’attuale sindaco. Chiudono cinema e musei, le manifestazioni e i festival sono allo sbando

Non c’è solo il Teatro Valle. La politica culturale della giunta Marino ha deluso tutto e tutti, in primis i suoi elettori, che erano stati convinti a far convergere sul cardiologo genovese i voti della sinistra, rassicurati dalla sponsorizzazione del deux ex machina del Pd capitolino, Goffredo Bettini. Bettini che era stato l’inventore del sistema-Roma, il padre dell’Auditorium e della Festa del Cinema, di un ritorno all’antica delle politiche culturali, la persona capace di tradurre in economie di scala la visione “pop” di Walter Veltroni.

Un giovanissimo Walter Veltroni con Ferdinando Adornato e Pier Paolo Pasolini
Un giovanissimo Walter Veltroni con Ferdinando Adornato e Pier Paolo Pasolini

Non si sono ancora conclusi i primi due anni di mandato e il bilancio della giunta Marino anche sul piano della tutela dei beni e del sostegno alle attività culturali segna profondo rosso, con un assessore-Flavia Barca-dimessosi perché impossibilitato ad agire in ragione dei tagli di budget, e sostituita dopo lunga e ingiustificabile vacanza della carica da Giovanna Marinelli, ex collaboratrice di Gianni Borgna, che aveva tenuto le deleghe alla Cultura continuativamente nelle amministrazioni Rutelli e Veltroni per ben tredici anni, dal 1993 al 2006. Borgna e Nicolini, il leggendario “assessore all’effimero”, sono i due fantasmi che vengono sistematicamente evocati quando si parla di cultura a Roma, e dell’affossamento di un modello che, dall’Estate Romana in poi aveva fatto scuola, non solo a sinistra. I pallidi epigoni cooptati senza successo in giunta da Marino si limitano invece a fare da parafulmini con istituzioni ormai prive di risorse, in buona parte abbandonate a stesse, evocando il miraggio di futuri accorpamenti che dovrebbero magicamente rilanciare il settore, ridando benzina alle iniziative sul territorio, salvando festival e musei, sbrinando associazioni ibernate nell’immobilismo dall’assenza di risorse. E così Roma muore, anche sul fronte della cultura, che pure dovrebbe costituire una delle priorità del Campidoglio, in una realtà dove, per esempio, l’industria cinematorgrafica continua a essere per indotto una delle più importanti della Regione. Proviamo allora a mettere in fila le ragioni per cui Marino ha fallito e dovrebbe essere mandato a casa, sin da ora. Partendo proprio dal cinema.

IL BRUTTO CINEMA DEL CINEMA 

E’ stato annunciato in questi giorni il programma del Festival di Roma. A margine della presentazione, l’assessore Marinelli ha ribadito che per rendere sostenibile la manifestazione sarebbe buona cosa accorparla con il Festival della Fiction. La realtà è che tanto il Comune quanto la Regione hanno diminuito il proprio contributo al Festival, con un taglio complessivo di 800mila euro. Quest’anno il budget è dunque inferiore a 9 milioni di euro. Non sufficienti a fare una manifestazione di livello internazionale, ma con tutta evidenza troppi per l’attività di un ente, la Fondazione Cinema per Roma, che ha come solo scopo la realizzazione del Festival, e nel resto dell’anno non fa nulla. Sono ormai anni che si dice di mettere assieme le due manifestazioni, anche perché la kermesse della Fiction, una volta fiore all’occhiello della Regione Lazio, è ora ridotta ai minimi termini, e andrebbe a sua volta rilanciata. Senza un budget adeguato (intorno ai 10/12 milioni di euro) è impossibile dotare il Festival di un mercato degno di questo nome, in grado cioè di richiamare i buyer internazionali. L’Italia continua ad avere tre festival (Roma, Venezia, Torino) considerati di primo piano, ma nessuno dei tre ha un evento commerciale di livello mondiale, come invece hanno Cannes, Berlino e Toronto. E l’assenza di iniziativa da parte del Campidoglio impedisce anche ad altre istituzioni di lavorare davvero invece che vivacchiare. La Casa del Cinema ha gli organi sociali scaduti a settembre, ma nessuno è interessato a rinnovarli, nella consapevolezza che al di là di qualche proiezione estemporanea non è possibile fare. La Cineteca Trevi è luogo di parcheggio del conservatore di turno. La Film Commission è ora in mano alla Regione, che pure se ne era sfilata durante l’amministrazione Polverini. L’assessore alla cultura della Giunta Alemanno, Dino Gasperini, si trovò dalla sera alla mattina a dover sostenere da solo il peso dell’istituzione che è chiamata a far da attrattore alle produzioni cinematografiche sul territorio. Una volta eletto, Nicola Zingaretti ha riportato la Film Commission sotto l’ala protettiva della Regione, nominando alla guida un uomo dal curriculum politicamente trasversale agli schieramenti come Luciano Sovena, il quale si è messo alla caccia dei fondi europei. E però resta irrisolto il problema numero uno: girare nella capitale costa troppo. La Film Commission non è neppure stata in grado di creare uno sportello unico per i permessi. E così Roma continua a essere città chiusa al cinema. Si era parlato della possibilità di mettere sotto un solo cappello i due festival, la Casa del Cinema, la Cineteca e la Film Commission, dando vita a un organismo in grado di lavorare full time 365 giorni su 365, intercettando fund e finanziamenti. Ma tanto la Barca quanto la Marinelli non si sono nemmeno occupate di confermare il rappresentante di Roma Capitale nel cda della Fondazione Cinema per Roma, e nemmeno di sostituirlo con un proprio uomo, dal momento che l’avvocato Michele Lo Foco, nominato in quel ruolo da Alemanno, ha da tempo messo il proprio incarico a disposizione dell’assessore. E la Giunta Marino si è fatto prendere in contropiede persino sulla questione del Cinema America, occupato da un gruppo di ragazzi trasteverini, lasciando l’iniziativa politica al presidente della Commissione Cultura del Campidoglio, la rampantissima Michela Di Biase, neo sposa del ministro Franceschini.

il regista Gabriele Salvatores ha dichiarato che restiuirà l'Oscar se non verrà riaperto il cinema America
Il regista Gabriele Salvatores ha dichiarato che restituirà l’Oscar se non verrà riaperto il cinema America

Dopo la patetica letterina del presidente della Repubblica Napolitano, il caso America si è ulteriormente avvitato, e si avvia a diventare un secondo Valle. A tal proposito ricordiamo che la portavoce del teatro occupato ha ottenuto un incarico istituzionale, proprio nello staff dell’ex assessore Barca. A dimostrazione che nel lassismo del Comune c’è un indirizzo di scelta, non un mero tentennamento come sostiene qualcuno. E tornando all’America, tutti, anche i Premi Oscar (perché non comprano loro un locale ai ragazzi dell’America?), indignati perché i locali di cinema non più attivo da anni “rischiano” di venir riconsegnati al legittimo proprietario per altra destinazione d’uso. E questo in una delle aree della città a maggior densità di schermi, con Intrastevere, Greenwich, Alcazar, Nuovo Sacher. Quando però nello squallore inimmaginabile di una periferia che neppure Pasolini avrebbe potuto immaginare arrivano le ruspe per abbattere un multiplex, nessuno fa un fiato.

IL “MACRO” NODO DEI MUSEI

Dal cinema ai musei. La Giunta Marino sta affossando infatti anche il sistema del contemporaneo. Il Macro di via Nizza aspetta da tempo immemorabile il nuovo direttore, e lo fa mentre piove malinconicamente dentro la struttura e il tessuto delle gallerie della zona va scomparendo. “Ho invitato i vertici del museo ha tutte le inaugurazioni, per anni. Non si sono mai fatti vedere”, ci ha confessato una gallerista, che ha deciso di chiudere per continuare con altre modalità l’attività di dealer. Perché il mercato ha bisogno del museo, e viceversa. Al Maxxi l’hanno capito, occorre darne atto a Giovanna Melandri. Al Macro no, al punto che la sede distaccata della Pelanda, grazie l’indotto generato dall’alta pedonalità del quartiere Testaccio – sempre più al centro della Movida – tiene, mentre la pomposa sede principale, che doveva diventare la Tate Modern capitolina è sull’orlo della chiusura. E se Marino cerca un non facile riavvicinamento con la Comunità Ebraica cavando dal cilindro una sede provvisoria per il Museo della Shoah, tutto il sistema delle strutture municipali sta crollando, dal Museo della Civiltà Romana dell’Eur chiuso da tempo immemore, alla Centrale Montemartini che registra medie di ingressi giornalieri che si contano letteralmente sulle dita di una mano. E però Marino ha deciso di giocarsi tutto sui Fori, varando un’isola pedonale che per qualcuno semplicemente non c’è e per qualcun altro serve solo per alimentare il business degli ambulanti, degli abusivi e delle zingarelle, che invece che leggerti la mano come nel dipinto dei Capitolini prendono di mira in gruppo gli sprovveduti turisti. Perché il fallimento delle politiche culturali del sindaco si misura anche nel degrado, che era cominciato innegabilmente con Alemanno e forse anche prima, ma ha preso una brusca accelerata con l’amministrazione di sinistra e ora fa sembrare la città su di un piano inclinato. Fallimento delle politiche culturali sono anche i bengalesi che minacciano gli stranieri sulla scalinata di piazza di Spagna, altra isola pedonale fortemente voluta dal primo cittadino, perché non c’è peggior minaccia al patrimonio che questo palpabile senso di insicurezza con cui sono costretti a convivere i suoi fruitori.
E in fondo il sintomo più grave di questa decadenza è proprio la convivenza rassegnata tra legalità e illegalità. Quest’estate le arene cinematografiche periferiche presentate sul sito del Comune proiettavano film piratati su Dvd, anche a meno di un chilometro di distanza da una sala regolarmente aperta. “Sono concessioni date storicamente a famiglie che si occupano delle proiezioni in un determinato parco o giardinetto”, ti spiegavano quando domandavi come mai fosse tollerato quello scempio. Può darsi, ma quelle concessioni riguardano aree pubbliche, all’interno di cui il Campidoglio si trovava dunque – fosse anche inconsapevolmente – a violare la proprietà intellettuale e a favorire la contraffazione, esattamente come avviene allorché le borse delle nostre griffe sono vendute sul Corso.

Resta da capire a chi giova questo lassismo, questo trionfo dell’inazione. E la risposta è ancora lì, nella crescita dell’indotto dell’illegalità, a danno della messa a sistema del tanto sbandierato “petrolio” che costituirebbe la nostra cultura. Il fallimento più grave dell’esperienza politica di Marino è proprio nella riduzione a minimi termini di quello che dovrebbe essere il volano di Roma, la possibilità di integrare rendita dei beni culturali e indotto delle attività, generando un’industria della creatività e dei saperi che abbia come giacimento di sfruttamento la maggior concentrazione mondiale di tesori artistici ed archeologici. E dire che per scovare un genovese che fosse uno sperperatore bisognava cercarlo con la lanterna…

02/10/14