Irene Cao, abbandonate il pudore!

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Irene Cao-557x262-sciandivasciEsempio di crescendo erotico in tre atti: Io ti guardo, Io ti sento, Io ti voglio. Sono questi i titoli perfetti, smaliziati ma posati, della trilogia (Rizzoli) che un anno fa ha sbancato al botteghino editoriale, portando Irene Cao, la sua autrice, al successo. Più di 400 mila copie vendute, traduzioni in molti paesi. Aspettiamo, ovviamente, il film. Nel frattempo, Irene è tornata in libreria quest’estate, con un nuovo appuntamento in due atti: Per tutti gli sbagli e Per tutto l’amore (Rizzoli).

Qualcuno ha voluto vedere in lei la risposta italiana a E.L. James, quella di 50 sfumature di grigio. Irene Cao, tuttavia, non voleva rispondere a nient’altro se non alla sua fantasia, che è la vera condottiera del piacere. L’alienazione dell’erotismo della James, i suoi giochi di ruolo costruiti sulla dialettica eros e thanatos, infatti, non c’entrano nulla con la ghiotta sensualità dei libri di Irene.

Richiesta inevitabile: dimmi il tuo sogno più spinto.

Mah, io vivo il sesso in modo poco cerebrale, ma decisamente profondo. Voglio che mi arricchisca e mi lasci lucida per godermi la compresenza di sensi che lo rende ciò che deve essere: un piacevole abbandono. L’erotismo agghindato e il sesso fine a sé stesso non mi interessano.

È una visione molto femminile, questa. Hai letto Cosa vogliono le donne (Einaudi, pp. 216, Euro 16,50), il saggio di Daniel Bergner in cui si sostiene che maschi e femmine, sotto le lenzuola, cercano le stesse cose?

Non sono affatto d’accordo. Noi donne abbiamo una fisicità differente, che detta quello che siamo e le amanti che diventiamo. Gli uomini hanno bisogno di una concretezza che per noi è più trascurabile: il lasciapassare del nostro trasporto è qualcosa di molto diverso, imprescindibile dall’emotività. Se il mio compagno mi dovesse mandare un selfie del suo pacco, io sarei tutt’altro che eccitata: lo troverei ridicolo e crollerebbe ogni mio impulso.

 Forse è solo colpa di secoli di storia in cui ci è stata impartita l’inibizione come valore morale.

Siamo prodotti storici e quello che abbiamo alle spalle ha forgiato, con effetti penalizzanti per la nostra spontaneità, il modo in cui viviamo la sessualità, ma la differenza tra donne e uomini resta un dato reale, direi biologico.

Siamo il corpo che abbiamo.

 Sì. Se mi avessero chiesto di scrivere la trilogia anche solo dieci anni fa, non ce l’avrei fatta. Ero meno sicura del mio aspetto. La mia disinibizione è arrivata più tardi.

Con la trilogia?

Anche. Ma soprattutto prima. Ho amato un sacco di stronzi, ho sofferto, ma tutto è servito a rendermi consapevole di chi ero e cosa volevo, quindi anche del modo in cui ottenerlo attraverso le relazioni e il sesso.

E cos’è che vuoi, a letto?

Restare una donna consapevole. Non oltrepassare mai il limite che separa il compiacimento dall’umiliazione. Molte donne si rendono disponibili a fare qualunque cosa, semplicemente perché sono alla costante ricerca di definizione o temono l’abbandono.

Parli delle tue lettrici?

Molte di loro si sono ritrovate in Elena, la protagonista della trilogia. Ma non perché fosse una donna asservita o condizionabile, anzi: lei intraprende un percorso di liberazione dai propri tabù e dalle proprie insicurezze, in totale autonomia.

Che mi dici dei lettori, invece? Ne hai?

La maggior parte del pubblico che mi segue è fatto di donne. Molte di loro mi scrivono di trovare nei miei libri occasioni di evasione, svago, relax. Gli uomini sono di meno, ma ci sono. Quando ho fatto leggere i manoscritti ai miei amici – e tra di loro avevo scelto quelli che meglio incarnavano il “maschio alfa” -, mi hanno detto tutti che le mie storie erano poco eccitanti, forse perché troppo romantiche o prive di cliché che associamo per abitudine all’erotismo. Invece, i lettori hanno reagito in modo opposto.

Perché tutte queste donne leggono i tuoi libri? 

“50 sfumature di grigio” ha cambiato qualcosa: ha sancito l’apertura di un varco che già si stava preparando da tempo. Tuttavia, il troppo parlare che si fa ultimamente di sesso non corrisponde alla libertà sessuale. Mi hanno accusata di aver tratteggiato personaggi poco attinenti alla realtà, probabilmente perché hanno con l’erotismo un rapporto disinvolto, che mediamente manca alle persone. Le coppie che vedo intorno a me fanno fatica anche a mantenere una media, considerata “sana”, di tre rapporti a settimana. Siamo tutti spossati, forse anche intimiditi.

A proposito di timidezza, tu hai dovuto fare i conti con l’imbarazzo, mentre scrivevi il libro? 

Certo. Anche per questo mi sono rintanata in casa per mesi, a scrivere: sapevo di dovermi concentrare sulla storia, di dover abbandonare le mie reticenze, a volte anche il pudore. Per scrivere scene di sesso convincenti è necessario calarcisi dentro.

Hai mai pensato alla reazione della tua famiglia, mentre scrivevi? 

Mi è capitato più volte! Vivo in un paesino minuscolo ed ero terrorizzata dalla possibilità che, una volta usciti i miei libri, potessi venire trattata come una a cui spedire vibratori e lettere scabrose.

E ti è capitato? 

Mai. Certo, le persone mi guardano ora con un sorrisetto diverso, ma nulla di più. Sono rimasta la figlia di Celestina e Carlo. Le amiche di mia madre, che hanno tutte tra i sessanta e i settant’anni, sono mie lettrici fedeli.

Ai tuo genitori il tuo lavoro è piaciuto? 

Mi hanno sostenuta ed io ci ho tenuto a prepararli. Dicevo “guardate che le persone potrebbero fraintendermi, diventare sgradevoli”. Poi non è accaduto, ma se anche fosse successo, sono certa che sarebbero rimasti sereni, almeno nei miei confronti. Non so bene se abbiano letto tutti i libri: quando glielo chiedo, nicchiano.

Insomma, è impossibile lasciare da parte la propria vita privata quando si scrivono libri…

Chi scrive deve innanzitutto vivere. Il mio privato risente di ogni parola pubblicata. Dopo mesi trascorsi in semi clausura a concentrarmi sul sesso e sull’erotismo, mi sono dovuta fermare. Non ho fatto l’amore per mesi, ma è stato naturale, quasi liberatorio.

Innanzitutto vivere. Quindi, buttarsi in qualsiasi cosa. Ne hai vissute di cose imbarazzanti? 

Certo, come tutti. Ricordo con grande divertimento le albe in cui andavo a servire cappuccino e cornetti per una ditta che produceva materiali elettrici, che offriva la colazione agli avventori. In quelle settimane mi chiedevo spesso come accidenti fosse finita lì, mi dicevo quanto quel lavoro fosse diverso da quello che sognavo, ma adesso mi rendo conto che è stato importante mettermi alla prova su qualunque fronte.

Hai sempre saputo che saresti diventata una scrittrice? 

L’ho sempre sognato. Ho iniziato a pubblicare piccoli reportage per A, la rivista di Maria Latella, quando avevo vent’anni, ma era qualcosa di molto diverso. Poi ho deciso di investire di più. Mi sono seduta alla scrivania e ho scritto il mio romanzo. Ci ho messo 3 anni. Ho trovato un editore che ha creduto in me, a patto che ripensassi a tutto, riscrivessi tante cose, incanalassi il lavoro in un genere definito. Allora ho buttato le pagine nella stufa ed ho ricominciato. Sei mesi di duro lavoro e alla fine la pubblicazione è arrivata.

Insieme al successo 

Più che altro, insieme al ruolo di scrittrice, di cui solo la risposta del pubblico può investirti.

Foto © Giuli Barbieri