L’anima nera dell’Italia al festival di Venezia

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Tre film  presentati alla 71. Mostra del Cinema di Venezia tratti da libri OFF

di Rosa Maiuccaro

E’ un presente fatto di crisi d’identità, malavita e drammi familiari quello raccontato nei film italiani presenti alla Mostra del Cinema di Venezia. Il regista Francesco Munzi ha scelto per il suo lungometraggio la trasposizione del libro di Gioacchino Criaco, “Anime nere” (Rubettino, 2008). A un cast di attori emergenti spetta il compito di restituire allo spettatore le emozioni di un romanzo che percorre strade infernali. Attraverso una scrittura ricercata, Criaco racconta la toccante storia di tre ragazzi dell’Aspromonte, indirettamente collegati alla ‘Ndrangheta, condannati sin dalla tenera età a una esistenza malavitosa. Lo scrittore calabrese dà voce a un’intera generazione il cui destino è segnato dalle disuguaglianze sociali e da quei valori ancestrali, radicati nelle viscere del Mezzogiorno d’Italia da centinaia di anni. Nella cosiddetta “onorata società”, basata sul sangue, l’onore e i soldi, i legami familiari costituiscono una prigione che rende quei giovani sia vittime che carnefici. “Con un passato in tasca più pesante del futuro, cosa fai?”, si domanda il giovane protagonista Luciano. Criaco risponde a questo quesito con un ritratto veritiero del male e delle sue radici, superando le soglie della pietà umana.

Con “Il bambino indaco”, lo scrittore Marco Franzoso, fotografa con un racconto altrettanto carico di tensione, un nucleo familiare in crisi che non ha più le sembianze di un nido sicuro e amorevole bensì quelle di un luogo di sofferenza, tormento e, in alcuni casi, di morte. Carlo e Mina sono due giovani innamorati, ma dalla loro unione nasce un bambino speciale il cui amore sarà conquistato attraverso un’insostenibile battaglia emotiva e morale. Mina si rifiuta infatti di nutrire il suo bambino, che lotta ogni giorno per sopravvivere alle folli paranoie materne e all’impotenza del padre.
In “Hungry Hearts” (“Cuori Affamati”), il nuovo film di Saverio Costanzo (già regista della  trasposizione cinematografica de “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano), Carlo diventa Jude (interpretato dal bravo Adam Driver della serie tv “Girls”) mentre sua moglie, la fragile Isabel, è Mina, alla quale presta il volto l’intensa Alba Rohrwacher. La loro è una storia che non può lasciare indifferenti. Se ogni 100 gravidanze, tra le 10 e le 15 donne entrano in un abisso chiamato depressione, il dato più preoccupante è che, secondo l’AMI (Associazione Matrimonialisti Italiani), dal 1970 ad oggi circa 500 bambini sono stati uccisi dai propri genitori. La quiete familiare è dunque in pericolo da tempo. Il libro e il film tentano di sensibilizzare gli indifferenti e richiamare l’attenzioni su quegli apparati burocratici che uccidono spesso la speranza di coloro che soffrono.

Renato De Maria, con la moglie Isabella Ferrari, qui in veste di produttrice oltre che di interprete, ha invece scelto di filmare “La Vita Oscena”, dall’omonimo romanzo autobiografico di Antonio Satta Centanin, per la prima volta firmato senza lo pseudonimo Aldo Nove. Toccherà al giovane interprete francese Clément Métayer vestire i panni di un ragazzo che dopo la morte di entrambi i genitori affronta un’inesorabile e vorticosa caduta negli inferi. Una storia estrema che vuole scandalizzare ma che paradossalmente rappresenta il viaggio reale intrapreso da molti giovani come risposta alla loro infelicità. Un percorso caratterizzato da solitudine, sesso facile e droga, ma più di tutto l’urlo di chi per vivere ha deciso momentaneamente di morire, di offuscare la propria bellezza per farla risplendere.

 28/08/14