Altro che Strega, la letteratura la fanno i cantanti pop

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Non l’ho letto e non mi piace: “Il desiderio di essere come tutti” di Francesco Piccolo, che ha vinto lo Strega e racconta – così mi hanno detto – di un bambino che a dieci anni vedendo Berlinguer, diventa comunista. Può essere capitato. Piccolo, classe 1964, aveva nove anni nel 1973. C’era l’austerity e non ancora Goldrake. Berlinguer era in un certo senso un supereroe e il comunismo una superidelogia.

A pensarci bene, non ho neppure letto gli altri quattro finalisti dello Strega, e non mi piacciono. Scurati mi è piaciuto solo quando ha detto in televisione a Vespa che voleva vederlo morto. Poi si è messo a scrivere credendo di essere Flaubert, ma più magro. Gli altri non li conosco. Non so chi sia Francesco Pecoraro che ha scritto “La vita in tempo di pace”, né Giuseppe Catozzella che ha scritto “Non dirmi che hai paura”, né Antonella Cilento che ha scritto “Lisario o il piacere infinito delle donne”.

Eppure, di mestiere, recensisco libri. Ma questi, quando devo per lavoro, li recensisco senza aprirli: per non farmi influenzare. Eventualmente li leggo dopo. Spesso non li leggo nemmeno. Di solito leggo scrittori morti. Se resistono alla tomba, è un buon segno. Ma non ho interesse ad aspettare che uno scrittore muoia per poterlo leggere, duemila anni di morti sono sufficienti e riempire tutto il mio desiderio di recensore. Meno degli scrittori vivi, leggo i critici letterari vivi. Di critici letterari morti ce ne sono pochi, essendo il genere recente. Cosi anche i pochi vivi posso evitarli. Tra l’altro, i critici letterari vivi parlano sempre di scrittori vivi, quindi su di loro pesa un mio doppio pregiudizio. Non leggo neppure i recensori di libri di scrittori vivi. In verità, non leggo neanche le mie recensioni quando vengono pubblicate. I recensori di scrittori vivi, spesso, sono scrittori vivi o critici letterari vivi o vorrebbero diventare una delle due cose. In ogni caso scrivono sperando e aspettando che altri critici di scrittori vivi, che sono in potenza o in atto recensori o scrittori vivi, scrivano dei loro libri.

E’ un circuito di persone che si chiama letteratura e i letterati spesso vengono definiti intellettuali perché usano la loro intelligenza, come se gli ingegneri o gli operai non la usassero. In ogni caso, è un circuito molto chiuso di persone, refrattario a ogni influenza esterna. Certo spesso gli ingeneri parlano e scrivono di ingegneria, e gli operai di operaismo. Ma mai con così tanta acribia. Gli operai usciti dalla fabbrica si divertono parlando di calcio, per esempio, o di femmine e su questi temi trovano spesso punti di accordo con gli ingegneri. Gli scrittori vivi, i critici letterari vivi e i recensori di scrittori vivi, invece parlano sempre di se stessi, cioè di letteratura, con la convinzione che la letteratura coincida con la vita. Basandosi su questo fraintendimento, che la letteratura e la vita coincidano, parlano sempre della stessa cosa ed è per questo che gli operai e gli ingegneri li guardano strabiliati. In sostanza, non parlano a nessuno. Anche se ponzano i libri ponderosi che affrontano i grandi temi della vita (per esempio Piccolo parla di politica, mentre Scurati nell’ultimo libro – mi hanno detto – indaga la paternità), in verità scrivono per un inner circle di scrittori vivi che tra l’altro non si leggono mai tra loro se non per recensire libri e aspettare, in cambio, altre recensioni.

Ma non è questo che volevo dire. Alla gente piacciono comunque le parole e spesso piacciono moltissimo le parole che diventano una storia. In spiaggia non ho scartato nessun libro, peraltro non ne ho recensito nessuno, né ho notato che qualcuno leggesse i tomi finalisti allo Strega. La radio del ciringhito ha trasmesso musica incessantemente, perfino coprendo il rumore della risacca. Ho ascoltato tutte le ultime novità dei cantautori vivi, senza che nessun recensore vivo di cantautori vivi esprimesse alcun giudizio. Cremonini mi è sembrato molto rilkiano quando canta in “Logico” “Per ogni domanda componi un verso/ Non siamo soli in questo universo”: mi ha ricordato lo spaesamento descritto da Heidegger senza la pretensiosità di Scurati. Vasco in “Dannate nuvole” pone un interrogativo irrisolto fin dai tempi liminali di Eraclito e della sua corrusca oscurità: “Quando mi sento di dire la “verità”/ Sono confuso/ Non son sicuro/ Quando mi viene in mente/ Che non esiste niente/
Solo del fumo/ Niente di vero/…”.

Ligabue è nato come Piccolo negli anni Sessanta, anche lui credo sia diventato comunista, e mi sembra di ricordare avesse un padre o un nonno partigiano, ma non canta l’epicedio di Berlinguer. Il Liga sembra più Pasolini di Piccolo che vuole sembrare Pasolini e scrive talvolta anche per il Corriere della Sera. Il Liga canta che “Sotto gli occhi da sempre distratti del mondo/ sotto i colpi di spugna di una democrazia/ c’è chi visse sperando/ e chi disperando/ e c’è chi visse comunque morendo…” e ancora “Sotto gli occhi annoiati e distratti del mondo/ la pallottola è in canna in bella calligrafia/ la giustizia che aspetti/ è uguale per tutti/ ma le sentenze sono un pelo in ritardo/ avvocati che alzano il calice al cielo/ sentendosi Dio…”. Sarebbe piaciuto a Pierpaolo il Liga, forse più di Piccolo, tutti e due ottimi giocatori di calcio, il Liga e Pierpaolo, la faccia squadrata dell’Italia contadina, il fisico superbamente solido da centrocampista.

Ylenia Lucisano sembra invece la Merini quando canta “Piccolo Universo” – e non ha partecipato come la Merini allo Strega e temo non la candidino al Campiello: “Se al mondo non contassero i minuti/ se il buio non sembrasse così grande/ lascia le tue scarpe, lasciale indietro/ se invece di aspettare tu saltassi,/ che il volo forse è l’unica risposta/ io sto ballando cosa aspetti a stringermi/ solo così solo così/ riusciremmo a non cadere nel buio dei pensieri/ solo così solo così/ faremmo di ogni abbraccio un piccolo universo/ solo così/ un’ora sembrerà per sempre”. Chissà se anche lei è nata a primavera non sapendo che “nascer folle, aprire le zolle potesse scatenare tempesta”.

21.08.2014