Sushinferno: un incubo dal Sol Levante

0

L’inquietante pièce in divenire “Hell Screen”

di Enrico Groppali

Al Teatro Arsenale da anni un infaticabile artista come il nipponico (ormai naturalizzato italiano) Kuniaki Ida  alterna ai testi più interessanti della cultura occidentale un’appassionante valorizzazione dei copioni più inquietanti del natio Sol Levante. Rendendoci finalmente complici, nello spazio a lui deputato, del brivido incantato di un paese finora inesplicabilmente trascurato persino dai canoni e dall’originalità espressiva della nostra avanguardia.

Che si direbbe più impaurita che incuriosita dall’arte raffinata e preziosa del Giappone, al di là di qualche sporadica comparsa dei suoi autori sui nostri palcoscenici. Ora Kuniaki estrae dallo scrigno magico del suo bagaglio di raffinato ricercatore uno strano incunabolo (che assegna come saggio finale agli allievi della sua scuola).

Un testo letterario e non drammatico felicemente adattato per la scena che ci coinvolge fin dal suo titolo inusuale teso a convogliare su questa short story scritta agli albori del ventesimo secolo qualcosa di più di una generica attenzione. Dato che “Hell Screen” ovvero “Il paravento dell’inferno”come recita la versione anglosassone del racconto di Ryonosuke Akutagawa ci coinvolge in modo sottilmente morboso.

Tramutandosi, ai nostri occhi di occidentali ignari della copiosa letteratura del suo paese d’origine, in una stranissima saga che sa di Don Giovanni come del mitico “Ritratto di Dorian Gray”, summa dell’equivoco decadentismo europeo. Con la variante significativa che qui la vittima non è un ambiguo seduttore che vuole sconfiggere il fantasma della vecchiaia ma una fanciulla, che il padre pittore teme sia stata insidiata dal Signore che l’ha accolto al suo servizio per raffigurare tra le pareti di un carro allegorico tramutato in paravento il destino finale dei reprobi precipitati nell’inferno buddista.

Ed e’qui che l’artista, incapace di creare un’opera d’arte il cui modello non risieda nella realtà da lui contemplata, si decide per la supremazia che accorda al proprio capolavoro in divenire, a persuadere la figlia incolpevole a partecipare al progetto. Ossia a figurare nei panni della dama ospite di quel paravento allegorico destinato ad esser divorato dalle fiamme. Il che fatalmente accade in un delirio che, ripeto per noi, sa molto del sacrificio di Basiliola nella “Nave” del nostro D’Annunzio.

Ma questo è solo un impossibile sospetto che semmai troverebbe più spazio presso gli estimatori del sadismo di Mishima. E non nell’appassionata dedizione di una seducente coreografa come Claudia Lawrence.

 

21.07.2014

 

photo credits:  kairos magazine