La bellezza degli “invisibili” delle carceri

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Licia Maglietta porta in scena i detenuti, senza condannare né assolvere.

di Maria Lucia Tangorra

«Il teatro è comunque, in ogni caso, in ogni tempo e in ogni luogo, un RITO». Scriveva così Pier Paolo Pasolini nel “Manifesto per un nuovo teatro” (1968) e Teresa Pomodoro ha colto in tutta la sua essenza questa affermazione apparentemente assodata, ma che spesso ci si dimentica soprattutto nel modo contemporaneo di fare teatro. Teresa Pomodoro era una di quelle artiste che viveva il teatro a 360°, ne ha fatto una questione di vita e un terreno di incontro e a servizio di quello «sterminato paese di invisibili» che si identifica anche col carcere.

Per circa un’ora Licia Maglietta, accompagnata dalle musiche dal vivo di Suoni Oltre, fa rivivere sul palco dello Spazio Teatro NO’HMA T. Pomodoro la donna, l’interprete, la drammaturga e quegli uomini da lei raccontati. L’attrice napoletana dà corpo e voce al testo più emblematico dell’artista di origine pugliese, “Il mio teatro nudo”, e lo fa alternando delicatezza e vigore, trasmettendo quell’energia pura che muoveva una donna che andava oltre col suo sguardo. La chiave ce la rivela proprio il testo: il bello di questo lavoro/rito collettivo non erano meramente le messe in scena degli spettacoli con i detenuti-attori, ma scoprire «le quinte dell’anima» mettendosi a nudo loro (i carcerati) e lei.

La Pomodoro entra in punta di piedi in quell’«abisso madre» per fare un percorso con gli ultimi, conoscerli, regalare un sorriso e ricevere da loro in dono quello sguardo che si stupisce delle cose che noi diamo per scontate. Quelle parole così sentite perché vissute dall’artista in prima persona ci danno il senso di un impegno nel sociale, denunciano con incisività le mancanze del sistema carcerario senza che si punti il dito, è un flusso di pensieri basati su volti incrociati che hanno dimenticato cosa sia il colore perché in carcere son tutte sfumature di grigio… e poi c’è il teatro, o meglio, arriva il teatro-vita. «In scena mi batteva il cuore più che in una rapina».

La mise en éspace della Maglietta restituisce la dignità di quegli ultimi e il trasporto di Teresa Pomodoro in una vita dedicata al teatro e ai dimenticati. Gli occhi dell’attrice parlano, sorridono e brillano di commozione, la sua voce diventa le diverse voci di uomini e donne che hanno visto in Teresa e nel teatro uno spiraglio di vita «nella fisicità del corpo materico della prigione».

«Bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla. È importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto» dice Peppino Impastato (Luigi Lo Cascio) ne “I cento passi” di Marco Tullio Giordana. Ecco, Teresa Pomodoro la conosceva bene la bellezza e al contempo non ha mai finito di cercarla. Non ha martirizzato i detenuti né li ha assolti, li ha riconosciuti come persone così come ha fatto con gli immigrati e gli esclusi.

20.06.2014