Wemen: il sound della periferia europea

0

Garage, birre in lattina e tappeti mediorientali

di Silvia Cannas Simontacchi

Odorano di ’77 e di punk duro. Ma anche di garage band anni Ottanta, quando si insonorizzavano le cantine con il polistirolo e d’inverno si provava con addosso tre maglioni logori, uno sopra l’altro. Anche se loro, negli anni ’80, erano ancora dei pischelli appassionati di latte con i biscotti Plasmon. Loro sono Carlo Pastore (voce e chitarra), Alberto Pilotti (chitarra) e Riccardo Della Casa (basso), e tutti insieme fanno i Wemen. Quattro ragazzi dal capello sconvolto, che si vestono con almeno tre diverse fantasie per volta.

L’album di esordio dei Wemen è una cosa graffiante e difficilmente definibile: si chiama “Albanian Paisley Underground” (APU) ed è stato registrato nella ridente Prato. Siccome è sempre difficile farsi venire un’idea abbastanza hipster per il titolo di un disco, la band ha deciso di prendere spunto da una recensione di qualche settimana prima: «Dopo alcuni brani incomprensibili, ho avuto un’illuminazione alla fine del loro set. I Wemen suonano quello che avrebbe potuto essere il “Paisley Underground” se fossero stati albanesi». I Wemen non sapevano cosa fosse il Pasley Underground, non erano mai stati in Albania, e chi scriveva non voleva sicuramente fare un complimento. Ma “Albanian Paisley Underground” sembrava comunque una descrizione perfetta per un disco così brit, americano, punk, psichedelico e rock’n’roll tutto in un colpo.

I dieci brani di APU (nove canzoni originali e una cover) rimandano a una qualsiasi periferia di Londra, ma anche di Milano o magari di Berlino. A pomeriggi qualsiasi di precariato, birra in lattina un po’ calda, tappeti logori vagamente mediorientali, patatine fritte e scatti in analogico con la luce che rimbalza sfocando i lineamenti. Perché in fondo, nella penombra umida della loro saletta, ai Wemen sembra ancora di essere negli anni Settanta.

 

04.06.2014