“Il Milapoletano”: storia di una denapoletanizzazione

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Come un attore napoletano diventa un napoletano che fa l’attore

di Clelia Patella

 

“Ah, sei napoletano? Quindi sei un emigrante?”

“No, non sono emigrante….mi piace viaggiare!”

In questa frase di un Massimo Troisi della primissima ora è riassunta la storia di Giampaolo Gambi, ex attore napoletano, ora napoletano che fa l’attore. Classe 1978, Gambi si appassiona allo spettacolo facendo da “sparring partner” negli allenamenti di danza di sua sorella Letizia (oggi apprezzatissima cantante jazz), che lo coinvolgeva nei suoi esercizi: l’amore per il movimento e per l’espressione del corpo resterà una sua caratteristica anche in seguito, quando si dedica dapprima al teatro con la compagnia “Quelli di Grock” di Milano, e poi anche alla tv, sia in veste di attore che di presentatore, e – dal 2010 – al cabaret, frequentando il laboratorio artistico dello Zelig.

La “napoletanità” (leggi l’intervista a Leopoldo Mastelloni sulla napoletanità) di Gianpaolo è stata una caratteristica da cui, sin dall’inizio, gli insegnanti di teatro hanno cercato di affrancarlo. Essere un attore napoletano, infatti, è una questione complessa: se si assume una certa postura, con le mani appoggiate sui fianchi, “si sta imitando Troisi”; se si interpreta una scena drammatica, si sta facendo De Filippo; addirittura, se si canta una canzone in dialetto c’è il rischio di “fare il Gigi d’Alessio”. Per la formazione dell’attore napoletano, non vale la regola non scritta di agevolarne la libertà espressiva e la spontaneità: Napoli, come nessun altro posto in Italia, ha i suoi mostri sacri, figure insuperabili e icone quasi in odor di santità per il popolo partenopeo. Per quanto un attore possa essere bravo ed avere successo nella propria carriera, non riuscirà mai ad essere il primo: se gli andrà al meglio, potrà aspirare al massimo ad essere il decimo, perché nessuno potrà mai superare un Totò o un Peppino, un Eduardo o anche un Mario Merola. Figure adorate dal popolo di Napoli, tanto da apparire, come veri e propri numi tutelari, appesi a mò di santini nelle pizzerie e nei caffè, accanto al Papa, a padre Pio e ovviamente a Diego Armando Maradona.

Ed è proprio il percorso di “denapoletanizzazione” dell’artista ad essere il soggetto del suo ultimo lavoro: Gambi esordisce infatti con due date il 16  e 17 maggio 2014 al teatro Campo Teatrale di Milano con lo spettacolo “Il Milapoletano”. Ovvero, la storia di come un attore napoletano a Milano diventi un attore di Milano nato a Napoli; ma ancor più, per esteso, la storia di molti di noi, nati al sud e cresciuti al nord, che diventano “quello del nord” quando sono al sud e viceversa, che sono del nord quando fa comodo e del sud quando conviene, di volta in volta calati in un alibi o in un superlativo del proprio modo di essere. Una storia in cui Giampaolo Gambi si identifica con l’”Esule Errante” del Pascoli, in esilio ma con la patria nel cuore, alla ricerca di una patria nuova che non esiste, a misura di sé, non come risultato di una scelta, ma per condizione ineluttabile.

E, ridendo con la testa, col cuore e con la pancia, lo ascoltiamo raccontarci della difficoltà di ricollocarsi, del senso di spaesamento che segue al fatto di non avere più alcun amico di infanzia attorno, del valore aggiunto dato dall’importanza del poter confrontare due diversi stili di vita. Quest’ultimo punto, in particolare, è notevole: il “milapoletano” (ma anche l’emigrato italiano di un tempo, o  l’extracomunitario di oggi) ha l’imperdibile occasione di poter imparare ad apprezzare con più equilibrio gli aspetti positivi del proprio essere uomo del sud, senza più glorificare ciecamente la propria città, né stigmatizzandone senza pietà i difetti, ma con la possibilità di darne una valutazione più obiettiva grazie al confronto con la nuova realtà. E ritrovarsi a capire che all’uomo del sud il solo sud non basta più, e da solo non lo rappresenta più. Che stando al nord i suoi pregi sono migliorati e i suoi difetti sono peggiorati: un sé stesso ancor più sé, arricchito ma sempre coerente.

Lo spettacolo è un monologo teatrale che però , a tratti, utilizza dichiaratamente il linguaggio del cabaret. Da parte di Gambi c’è la volontà è di non prendere le distanze da nulla di ciò che lo rappresenti: musica, cabaret, Milano, Napoli, immagini, corpo in movimento…  è un racconto su di lui, fatto con lui e attraverso lui, che racconta però anche la storia di molti. E come tale, “Il Milapoletano” risulta apprezzabile anche da chi non vive una situazione simile, perché racconta anche la storia di chi non sta mai bene in un posto e vorrebbe andare via, senza che necessariamente ci sia una meta precisa. Gambi definisce questo spettacolo “Un inno alla risata, alla bellezza della vita, alla leggerezza e al reinventarsi ogni giorno”. E ci racconta che inizialmente voleva chiamarlo “Uno spettacolo da ridere”: perché, dice, non se ne può più degli intellettualismi di chi concepisce il teatro come “sofferenza”, infarcisce la scena di pose e il testo di sofismi, riferimenti assurdi e citazioni colte e non sempre contestualizzate. “Io” – dice Gianpaolo –  “voglio fare pace con il mondo”.

 

16.05.2014