Se il Salone del libro diventa una cucina

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Un tempo, i veri “libridinosi” annusavano le pagine di un volume per saggiarne valore e contenuto. Dall’odore, specialmente dei tomi acquistati sulle bancarelle, si poteva dedurre la provenienza e talvolta le manie culinarie dell’ex proprietario. Anche per quelli nuovi c’era tutta una gamma di sentori da valutare: il profumo della carta, la sua robustezza, il colore. Potevi riconoscere ad occhi chiusi la casa editrice e la stamperia. Adesso, invece, azzardando a compiere il rito del “metterci il naso” si rischia di venir travolti dall’olezzo di un fritto misto, seppur confezionato da chef superstellati.

Non fa eccezione il Salone del Libro che pare un ristorante e, non a caso, si svolge di fronte ad Eataly, il vero luogo di culto e cultura di Torino. Anche l’Expo avrà per tema il cibo; d’altronde l’immagine dell’Italia nel mondo, secondo le ultime indagini, precipita nei beni culturali e resiste solo nel food e nell’agroalimentare. E così degli stand sabaudi, il più frequentato è Casa CookBook, lo spazio dedicato all’enogastronomia, con la ShowKitchen e il Cook Lab (sic!) dove più che leggere, direttamente si cucina: decine di appuntamenti tra laboratori, showcooking, presentazione di cuochi, foodblogger, dalla cucina vegana alla pasta madre, dalla cucina antiaging all’hamburger, dalle cinquanta sfumature di cioccolato fino alla zuppa di pesce.

Anche in libreria le cose non cambiano visto che il settore tira: bancali di libri dedicati al cibo, quelle più cool hanno perfino un angolo (sempre più invadente) in cui si possono acquistare, insieme, ricettari e utensili da cucina: sbattiuova, formine per i dolci, coltelli in ceramica, sac à poche, grattugia carote. Gli chef o i raccontatori di cibo sono i nuovi idoli mediatici. Partendo dalle sfarinate televisive di Antonella Clerici e delle sorelle Parodi, la questione è tracimata e oggi non c’è canale che non abbia un reality tra i fornelli. Se si sfoglia un qualsiasi quotidiano, perfino il Corriere della Sera, tutti i giorni che dio manda pietosamente sulla terra, compaiono un paio di articoli sul tema.

Ma con un eccesso di personalizzazione che non si era mai visto: gli chef, dal più famoso al meno, fanno notizia, incredibile, quasi più dei calciatori e delle veline; l’editoria si accoda, e quello che sbanca non è il semplice utile umile ricettario tipo suor Germana o Olio Carli, bensì un nuovo genere: la chef-agiografia. E a pensarci, se poco importa la biografia di un atleta, immaginiamo quella di uno chef.
Cosa può interessante conoscere la vita dei cuochi, perché se c’è ne uno con un’esistenza interessante, gli altri mille hanno vite normali, casalinghi appunto dietro i fornelli. E invece no: i giornalisti e soprattutto gli editor e i ghostwriter prezzolati si ingegnano e da ogni ristoratore fa capolino il personaggio, addirittura la star.

Basta digitare su Amazon la famigerata parolina “cucina” e piovono 17mila risultati. Gli chef ti squadrano dalle copertine come attori hollywoodiani, sguardi magnetici, pose statuarie: Gordon Ramsay, ovviamente Carlo Cracco, Alessandro Borghese, Gualtiero Marchesi, Davide Oldani… fino all’ultimo pizzaiolo della suburra.

L’Italia è un paese stravagante: la gastronomia è sempre stata un settore strategico e fondamentale del made in Italy, ma per anni è stata poco considerata, se non da imbonitori domenicali che sulle reti private giravano il paese per feste e sagre. Oggi che è di moda, ogni cosa viene sopravvalutata in una sorta di bulimia predatoria che inizia a dare sensazioni di voltastomaco e sapore di cattiva digestione. Una persona raffinata come Davide Paolini, il celebre gastronauta, che da decenni batte il territorio, se ne è accorto e ha definito questa moda un circo Barnum in cui si intravede già il “crepuscolo degli chef”: un fenomeno cresciuto troppo in fretta, e senza fondamenta culturali. E che potremo vedere tramontare senza patimenti.