Adelaide Di Nunzio: l’omosessualità nel paese della mafia

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Nel reportage Homosexuality in the land of mafia, la libertà vince sul “disonore”.

Per Adelaide Di Nunzio è impossibile fare finta di non vedere. La sua ricerca artistica è mossa dalla volontà di aprire uno squarcio nel buio dell’indifferenza: Di Nunzio si addentra nei quartieri disagiati di Napoli, Palermo e Reggio Calabria, realizzando documentari sulla violazione dei diritti umani e sull’impatto delle criminalità nel Sud-Italia. L’artista, con l’aiuto e il supporto di alcune associazioni che operano sul territorio, tra le quali la Fondazione Polis (Politiche Integrate di Sicurezza, per le vittime innocenti di criminalità e i beni confiscati),il Museo della ‘ndrangheta e la cooperativa sociale Dedalus,si è impegnata in alcune iniziative di inchiesta sull’omosessualità e la criminalità organizzata. Nel reportage Homosexuality in the land of mafia Di Nunzio ritrae figli di Boss mafiosi, transessuali che hanno rapporti con la camorra, testimoni, e tante voci di chi crede che la libertà debba vincere sul “disonore”.

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La condizione di omosessuale tra i mafiosi è vissuta con paura, non per moralismo, ma perché ritenuto inaffidabile in quanto privo d’identità definita. In una società arcaica come quella mafiosa l’essere gay costituisce ancora un tabù per questo motivo i boss sono costretti a vivere clandestinamente i loro rapporti amorosi, rischiando di essere esclusi dal clan. Sono tante le storie legate “all’onore” e al “prestigio” della famiglia che arrivano a giustificare e ad accettare l’omicidio di un parente. Figli che si nascondono dai padri, persone costrette a cambiare sesso, matrimoni combinati, storie di ricatti e inganni.

Omosessualità e Mafia

Di Nunzio si avvicina al disagio con un approccio empatico, la fratellanza emozionale sembra essere l’unica possibilità per sentire, riconoscere e gestire con equilibrio la sofferenza altrui, dando alle persone fiducia e libertà di espressione. “Parto da un’idea, da una griglia mentale, ma finisco sempre per farmi trasportare dalle persone”, racconta l’artista. Le sue immagini non sono mai “rubate”, ma conquistate. In questo modo le fotografie perdono quell’esigenza documentaristica per concentrarsi sul soggetto e ricercarne l’intimità. Di Nunzio scava nella profondità dei personaggi restituendone umanità, solitudine e amarezza. La sua è una ricerca sociale che porta alla luce verità congelate sotto pesanti silenzi.

www.adelaidedinunzio.it

1 commento

  1. che palle, mi tocca riflettere,….nel 2005 già scrivevate l’articolo sul figlio del Procuratore antimafia Siclari, (http://www.ilgiornale.it/news/signor-tenente-ha-cambiato-sesso.html)..credo che la libertà vinca sul “disonore” sia che si parli di mafia che di antimafia..il “problema” è lo stesso, e non si sposta spostando il contesto ambientale, seppur profondamente diverso..anzi vi è un fattor comune..l’ignoranza, che nel primo caso è becera, nel secondo è illustre e in tutti e due i casi mangiaspaghetti e mandolino.

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