“Stare meglio oggi”: guida per non essere mai sani

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Il monologo dell’inventore di Boris Giacomo Ciarrapico con Carlo De Ruggieri.

di Simonetta Sciandivasci

“Sia chiaro, signor ministro, che a nessuno di noi va di andare a teatro, ma lei dovrebbe spingere nella direzione opposta, invece la prima cosa che chiede  è la durata dello spettacolo. Vergogna!”. Tra le molte vette catartiche di “Stare meglio oggi”, il monologo teatrale scritto da Giacomo Ciarrapico e interpretato da Carlo De Ruggeri, questa è la più alta. Da qui si mostra, terso e completo, il senso dello spettacolo. Ovvero: stare bene non significa migliorarsi.

Dieta, corsetta, cultura, mondanità sono medicinali: fintanto che li assumete, vi sentirete malati, costantemente sulla via della guarigione, ma mai del tutto sani. Non starete bene, starete noiosamente migliorando, cioè prendendo la forma in cui il mondo è più capace di riconoscervi.

Ciarrapico non prescrive nulla, non somministra ricette e non dice mai che tanto vale abbandonare ogni speranza di assomigliare al Doriforo di Policleto e spianare la strada all’Homer Simpson dentro di noi. Dice solo: “Sappiate che potreste non potere”. Come Aristotele nell’incipit della Metafisica: “Tutti gli uomini tendono per natura al sapere”. Tendere non significa essere e nemmeno avere. Si può tendere tutta la vita all’opera omnia di Tolstoj, ma riuscire effettivamente a leggere soltanto Fabio Volo. A differenza di uno qualsiasi dei nostri intellettuali, Aristotele non avrebbe mai dato dell’imbecille a chi legge Fabio Volo. E non lo farebbe nemmeno Ciarrapico, regista che ha regalato all’Italia “Boris”, incommensurabile serie tv in cui gli intellettuali sono descritti come cialtroni che trascorrono ore a cercare la giusta declinazione di “bisognare”.
Tra l’anelito al sapere e la volontà di raggiungerlo si espande anche, tuttavia, la panza dell’Homer Simpson immanente, per arginare la quale Ciarrapico immagina che dentro di noi esista un governo, con il suo parlamento e i suoi ministeri. Carlo De Ruggieri, l’attore che in Boris interpretava lo stagista schiavo, ha il corpo e la voce perfetti per raccontare l’ostruzionismo che la volontà opera contro istanze sane, tipo l’iscrizione in palestra. “Io sono un dubbio vivente”, dice a un certo punto. E gli si vede addosso, lo si sente nella sua dizione anti- teatrale eppure perfetta per il monologo: Carlo tradisce con disinvoltura le sue origini, le vocali le apre e le chiude alla meridionale (è originario di Matera) e così avvalora il senso di resistenza e libertà dello spettacolo.

Andate a vederlo. Riderete, vi sentirete liberi e vi sarà chiaro che gli assoluti non esistono. Ne uscirete pure più clementi verso Palazzo Chigi: capirete che anche la politica, nel tendere al bene, può inciampare, esattamente come inciampiamo noi nel nostro Homer interiore –ed è in quell’incidente che sta la libertà. Capirete che non sempre la democrazia ci fa star bene: al massimo ci migliora e, migliorandoci, ci infila in uno stampino. In fondo, lo diceva pure Freud. Oggi e solo oggi, a Roma, presso la Fonderia delle Arti.