Guccione, quelle opere che esorcizzano la morte

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Nella sua mostra milanese i teschi di personaggi come Warhol e Gesù.

di Angelo Crespi

Si può tornare “off” a sessantasei anni? Sì, se lo si vuole con ferma determinazione. Sì, se quello che si è fatto in passato appare troppo facile o privo di un senso definitivo. Sì, se uno pensa che la libertà valga più di ogni altra cosa. Così Antonio Guccione, celebrato fotografo dello star system, ha ricominciato da capo come artista abbandonando le paillettes e i lustrini della moda e del cinema, lui che pure aveva ritratto Armani, Michelangelo Antonioni, Carol Alt, Carla Bruni, Richard Gere, ma anche Mimmo Palladino, Umberto Eco per citarne solo alcuni. Una rassegna di volti, quasi una biografia per immagini di mezzo Novecento, raccolti poi in volumi prestigiosi come “Faces of New York. The time is always now” (Usa 1992).

Ma cosa si nasconde dietro un volto, se non la vanità del nostro esistere? Alla fine non resta di noi che polvere, e polvere ritorneremo. Ed è questo il segno della sua seconda chance di artista, che usa la fotografia non più per “immortalare” una vita, bensì per evidenziare ed esorcizzare la morte. In uno spazio di Milano, non a caso, “off” – la meritoria e intraprendente “Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter” – Guccione espone, fino al 31 marzo, una serie di opere tra scultura, pittura, fotografia nella mostra “Vanitas. From Jesus to Yves Saint Laurent”, ambizioso progetto di post moderna frenologia.

Da Gesù a Mussolini, da Marylin Monroe a Pollock, da Andy Warhol a Napoleone, le icone della storia sono rapprese nella loro forma archetipica di teschio e poi fotografate senza il ritocco di photoshop e senza l’utilizzo di tecnologia varia. Tra il citazionismo e il divertissement, Guccione, che calca d’abitudine un cappellaccio alla Ezra Pound, ci urla “Ricorda che devi morire!” nel più classico stilema della pittura antica che ha fatto del “Memento mori” e del “Et in arcadia ego” un genere trasversale e collaudato, ben frequentato da Caravaggio, Guercino, Memling…

E in questo crepitare di ossa, dietro il parrucchino di Warhol, la corona piena di spine di Gesù, quella di alloro di Napoleone, i baffetti di Dalì, i fiori di Frida Kahlo, la pipa che non è una pipa di Magritte, ci sembra di poter davvero cogliere l’essenza vera del personaggio morto, nel bulbo scavato dell’occipite la sua anima per sempre volata via.

 

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