Dario Brunori. Indipendente per davvero

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Nell’ultimo disco, “Il Cammino di Santiago in Taxi”, le vie polverose dei cinici.

di Antonio Sergi

Radical Chic? No, grazie. Siamo stanchi di loro. Ma per “etichettare” e criticare bisogna, innanzitutto, conoscere e ascoltare. Nelle settimane scorse, accuse pesanti sono piovute dal web sul cantautore Dario Brunori, reo, appunto, di rappresentare in estrema sintesi il mediocre cantautorato italiano borioso e pseudo-anticonformista. Tutto ciò ha generato sdegno da parte dei fan del cantautore cosentino che proprio in questi giorni stanno gustando, in attesa dell’inizio del tour, l’ultimo lavoro discografico di Brunori: “Vol. 3, Il Cammino di Santiago in Taxi”.

E così Brunori, che indipendente lo è per davvero, diventa vittima del successo, da lui sempre visto come elemento “altro” dal vero senso della musica: conta l’evanescenza dei ricordi, non la demolizione della creatività estetica. Quando la musica è il mondo interiore di ognuno, è una dedica a se stessi il riconoscersi, è il tempo ideale in cui perdersi, per farsi trascinare. Così la musica diventa di tutti, accomunati nel forte legame di suggestioni ed emozioni.

C’è chi non la pensa così, ma lo scrivergli contro diviene specchio di un intimo spirito di profonda sottomissione, tramutandosi in ossequio verso il mondo Brunori SAS, e contemporaneamente scelta felice in termini di ‘click’. Invece, Brunori incarna perfettamente l’OFF perché dal basso, con malinconia e ironia, configura le forme più pure di resistenza, ribellione e lotta. Basti pensare al nome “SAS”, tributo alla ditta familiare che lo ha coadiuvato nella realizzazione dei suoi sogni, condivisi con il mondo attraverso i suoi album. Con “Vol. 3, Il Cammino di Santiago in Taxi” rievoca come il mondo sia oramai saturo dei cinici, intenti a percorrere un sentiero volutamente differente ma polveroso.

A marzo, il via de “Il Cammino di Santiago in Tour – Brunori SAS” vedrà esibirsi Dario Brunori in tutta Italia. Lui, da OFF è riuscito ad affermarsi, con i numeri ma prima ancora con il cuore e la qualità, dopo tanto lavoro, con tanta gavetta alle spalle. Infatti, già dal singolo che ha anticipato il disco (registrato in un convento di Belmonte Calabro con il produttore Taketo Gohara), “Kurt Cobain” (regia di Giacomo Triglia), illustra il desiderio di musica, di spiritualità, di vita, con ostinazione e amore, ripudiando e condannando qualsiasi forma di odio. Sempre.

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