L’arte contemporanea? Ai privati!

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La défaillance del Macro ridotto a Micro, e le performace del Maxxi che, nonostante gli epinici di Giovanna Melandri, sembra sempre più Mini, inducono a qualche riflessione generale sullo stato dei musei di arte contemporanea. Su Roma, il fuoco amico di Repubblica e l’Espresso, sta affondando il sindaco Ignazio Marino che pure sulla cultura, per estrazione personale e politica, puntava molto. Allo stesso modo gli esercizi di arrampicata sui vetri dell’assessore alla cultura Flavia Barca appaiono disumani. Repubblica elenca i problemi di soldi e/o governance appunto del Macro, del Macro Testaccio, del Maxxi, ma anche del Palazzo delle Esposizioni e del Parco della Musica, della Casa delle Letterature, del Festival della fotografia, della Casa del Jazz, della Casa del Cinema, l’Ara Pacis…

Al di la delle pezze che ci metterà Marino, vale la pena un ragionamento meramente tecnico, senza la minima pregiudiziale ideologica, considerata anche la crisi economica e la drastica diminuzione dei fondi pubblici. Nei paesi anglosassoni di solito un ricco miliardario dona alla comunità un’imponente collezione di opere d’arte e a quel punto si ragiona sul museo che le possa contenere. Di solito il ricco miliardario lascia anche un fondo che ne garantisca anche il funzionamento e il mantenimento.
A Roma, con il Maxxi si è fatto il contrario sull’onda di una grandeur mal riposta di alcuni ministri precedenti: si è progettato un edificio faraonico e poco funzionale, una sorta di celebrazione in vita per l’archistar Zaha Hadid, costato 150milioni di euro, che avrebbe dovuto contenere nulla. Infatti le opere non c’erano e con altri 30milioni di euro si è cercato di inventarsi una collezione (si pensi che solo un pezzo di Koons può costare 25milioni di dollari). La stessa cosa peraltro fu fatta al Madre di Napoli. A proposito, il maxxi scatolone vuoto di Stato costa di gestione circa 10milioni di euro all’anno. E poiché le mostre importanti sono un salasso, il presidente Melandri per riempirlo di gente e attività è costretta a inventarsi corsi di cucina e yoga, serate di musica e cinema, chi più ne ha ne metta. La domanda sorge spontanea: a Roma, capitale mondiale dell’antico, c’era bisogno di un museo maxxi del contemporaneo? La risposta ovvia è no. Sarebbe bastato appunto il Macro che pure già assorbiva importanti finanze del comune. Oppure bastava allargare la Galleria Nazionale nell’edificio a fianco: un progetto giacente da trenta anni. D’altronde se un turista visita New York è imprescindibile una capatina al Guggenheim o al Moma, se un turista visita Roma difficile che pensi al Maxx piuttosto che alla Cappella Sistina, Colosseo, Caravaggio, Michelangelo, chiese e ruderi millenari sparsi ovunque.

Certo, i problemi non mancano neppure nei musei del contemporaneo di altre città: abbiamo citato il Madre di Napoli, ma anche il Mart di Rovereto che è di certo il progetto migliore in Italia comincia a sentire il perdurare della crisi. Se trovare sponsor privati è sempre più difficile, poiché le cose da sponsorizzare sono molte e non esistono le defiscalizzazioni, la seconda domanda è: ma il pubblico (Stato e Comuni) deve impegnarsi nell’arte contemporanea o non è meglio lasciare l’iniziativa tout court ai privati? Le funzioni classiche del museo, di conservare reperti di civiltà, vengono stiracchiate quando si parla di contemporaneo. Le mode e i gusti, le ideologie imperanti, il mercato, premono ancora troppo perché ci sia lucidità nelle scelte. Così i musei del contemporaneo spesso diventano luoghi dove esercitare un potere di indirizzo, dove predeterminare i veri valori che si sedimenteranno solo col passare del tempo (che è un gentiluomo). Oppure degli enormi luna park, divertimentifici in cerca di un proprio ruolo.

Visto che questi edifici sono stati eretti non vale neppure la pena però di abbatterli. Allora meglio che si trasformino in Kunsthalle, spazi espositivi più liberi, dove sia trasparente l’intervento del privato: cioè dove i mercanti, o chi ci guadagna con l’arte, possano investire per sostenere la propria corrente. Libertà totale di battagliare, di veder combattere a suon di milioni i galleristi gli uni contro gli altri, e i curator difendere le loro scelte e misurarle col pubblico.

 

10 Commenti

  1. Non per polemica, giuro. Alcune precisazioni e una domanda.
    1) Nessun lavoratore socialmente utile è stato mai impiegato al Madre.
    2) Realizzare dal niente un museo, comunicarlo a livello internazionale, ottenere i massimi riconoscimenti, gestire 8mila mq e organizzare decine di mostre e centinaia di spettacoli in 7 anni al costo complessivo di 100 milioni resto convinto che sia stata una buona impresa. Ma sono disponibilissimo a ricredermi. se qualcuno è in grado di dimostrare che qualcosa di meglio è stato realizzato in Italia o all’estero nei tempi, nei modi e con i costi napoletani?
    3) Il numero dei visitatori, prima della resa politica dei conti, si era attestato sotto gli 80mila. Si tratta di una cifra omologa a quella del Mart e di Rivoli, musei molto più antichi e collaudati. Tra l’altro a Napoli il Madre si classificava come il terzo museo più visitato dopo l’Archeologico e ad un’incollatura da Capodimonte. Dietro c’erano Palazzo Reale, San Martino, Castel Sant’Elmo. Che ne pensa?
    4) E’ noto che Il Madre nei primi sette anni di vita (nonostante il sito web nuovo abbia cancellato ogni traccia del passato. Verifichi, se vuole!) ha collezionato e mostrato quasi solo artisti ampiamente storicizzati, ponendosi in un territorio culturale distante dalle alchimie del mercato. Lo stesso non accade oggi (consulti il sito nuovo)
    5) Il fitto degli spazi pubblici per mostre finanziate e gestite da soggetti privati è notoriamente una prassi clientelare, volgarmente politica, di nessuna garanzia culturale. E’ pensabile in un paese moderno affidare agli assessori comunali e regionali un calendario credibile di attività espositive?
    6) Seguendo il suo criterio di storicizzazione (artisti morti da almeno 50 anni) si verificherebbe questa paradossale situazione. Picasso (morto nel 1973), Duchamp (morto nel 1968), Warhol (morto nel 1987), Beuys (morto nel 1986), Fontana (morto nel 1968), Burri (morto nel 1995): nessuno tra questi giganti riconosciuti della contemporaneità internazionale e italiana avrebbe diritto di cittadinanza museale nei nostri musei. In fondo è quello che più o meno è successo dal dopoguerra in poi: siamo costretti ad andare al Moma, al Guggenheim, al Reina Sofia, alla Tate, al Pompidou per vedere e capire l’arte contemporanea. Mentre qui ancora ferve il dibattito se si tratti di arte o di non arte.

    • Pari e patta. In parte ha ragione. Ci sfideremo appena possibile. Ci rivedremo a Filippi.

  2. Non so con quali argomenti possa paragonare i problemi del Maxxi e del Macro a quelli del Madre. Questo modo di far giornalismo, vago, non confortato da numeri certi e riflessioni accurate, è un male diffuso e incurabile in Italia. Come mi era sembrato subito chiaro, lei non fornisce alcuna informazione seria. Solo opinioni tendenziose. Che, a suo tempo, l’assessore campana l’abbia chiamata per un parere, non è un titolo di merito. Che sia stato un incontro confidenziale, poi, è quasi una confessione. Ovviamente potrà smentirmi. Dunque, la pregherei di spiegare ai suoi lettori quali sarebbero stati gli sprechi di “quegli anni”. A differenza di tutti gli altri musei italiani, il Madre ha pubblicato il rapporto di attività 2007-2009, offrendosi al giudizio di tutti. Le ricordo, peraltro, che la realizzazione del museo napoletano fu segnalata dalla commissione europea come una delle rare Best Practics italiane nell’utilizzo dei fondi comunitari. Se lei fosse appena un po’ informato sulle questioni di cui discetta, per esempio, si accorgerebbe che tutti i musei di arte contemporanea (eccetto Rivoli, il più antico e il più sostenuto dalle banche, almeno nei primi tempi) hanno costruito le loro collezioni su prestiti e comodato d’uso di opere. In questo, il Madre non ha fatto eccezione. E se tutte le opere in prestito (tutte, non una parte) sono state richieste dai proprietari lo si deve al clima di guerra contro la vecchia dirigenza scatenato per motivi politici dall’assessore che l’ha consultata. Infine lei avrà certamente modo di dire ai suoi lettori quali altri musei italiani hanno nel patrimonio opere importanti di Kapoor, Koons, Serra, Clemente ecc. Negli “anni degli sprechi”, infatti, Il Madre commissionò a questi e ad altri artisti di sicuro valore le opere che oggi sono nella collezione permanente (sempre con fondi europei).

    • Gentile Cicelyn,
      credo che lei conosca bene la situazione del Madre essendone stato il direttore e per lungo tempo animatore. Un museo, ideato per l’apocolocyntosis di Bassolino, nato male, malissimo, sull’onda della sbornia di luoghi pubblici del contemporaneo che oggi rivelano la pochezza di quella strategia cultural-modaiola-statalista della sinistra radicalchic, tra dissesti economici e nulla capacità culturale (vedi anche Maxxi e Macro). Questa è la mia opinione e se vuole posso sostenerla in pubblica disfida.
      Al di là degli straschici giudiziari e le querele, che hanno contraddistinto la sua dipartita dal Madre e di cui seguo gli sviluppi solo per dovere di cronaca e professione, le chiedo perché non ci rende edotti sui veri costi di quella istituzione: quanto costò erigerla, quanto costò mantenerla negli anni migliori, di quanto personale si serviva, quale era il costo delle mostre, quanto i ricavi, quanto il costo a visitatore.
      Credo, come lei, di avere a cuore la cultura, di ritenere giusto l’investimento in cultura in un paese civile, per cui non mi spaventano le cifre che spero vorrà evidenziarci, essendo tra l’altro pubbliche. 100 milioni sprecati in un lustro sono forse nulla, rispetto a quanto spende il Centro Pompidou ogni anno, ma un’idea di ritorno deve pur esserci, un nesso tra investimento e ritorni culturali, un nesso misurabile in qualche modo. Soprattutto tenendo conto che resto contrario all’idea che l’arte contemporanea debba essere un costo pubblico e non un settore di investimento privato.

      • L’acquisto del palazzo, la ristrutturazione museale (su progetto e direzione di Alvaro Siza, le tecnologie, gli arredi e le opere d’arte di proprietà (Clemente, Lewitt, Long, Bianchi, Fabro, Koons, Kapoor, Paladino, Kounellis, Paolini, Horn, Serra) costarono ai contribuenti europei 45milioni. Paragoni i costi del Maxxi, del Mart, del Macro, del Mambo o di altri musei europei e poi ne riparliamo. Per quel che riguarda i costi della gestione ordinaria e delle mostre dal 2005 al 20012 (cioè dalla nascita del museo alla mia fuoriuscita) una volta ho calcolato a spanne altri 40 milioni circa (controlli i costi del Mart e di Rivoli in quegli anni e poi ne riparliamo). Della nuova gestione si sa (dai bilanci) che sta spendendo circa 5 milioni all’anno. E’ facile stimare che, se avranno sette anni di continuità, si dimostrerà che non hanno prodotto alcuna economia. Tenga presente che nei primi sette anni di vita il Madre ha dovuto investire molto in campagne di comunicazioni per affermare quel minimo di visibilità che un’istituzione culturale nuova deve raggiungere per stare al mondo con dignità, ha svolto massicce politiche sociali sul quartiere in cui sorge, ha organizzato decine di nostre di altissimo profilo internazionale (magari lei non lo sa, ma questo dipende dal fatto che la nuova direzione ha cancellato tutte le notizie dei sette anni precedenti dal sito istituzionale). L’organico del museo, alle dipendenze della Fondazione, compreso il direttore, non ha mai superato le 4 unità (controlli gli organici degli altri musei italiani e poi ne riparliamo). Tutti gli impiegati a tutti i livelli sono dipendenti si società private. Il modello di gestione del Madre, in effetti, è quasi esclusivamente privatistico. In ogni caso, da google può scaricare il “Rapporto attività 2007-2009 del Madre”, documento esaustivo (unico caso in Italia) di tutte le sue curiosità.
        Per quel che riguarda la sua obiezione di fondo, il mio parere è questo. Il problema è che i privati nel nostro paese guadagnano sui servizi offerti a tariffa e non investono nulla nei musei. Se in Italia si ritenesse di affidare i musei di arte contemporanea agli investitori privati, stia certo che nessun museo vivrebbe un solo istante. La questione del ritorno economico di un’istituzione culturale andrebbe posta, per serietà, a tutti i musei, a tutti i teatri, a tutte le fondazioni liriche. Se si pone solo ai musei d’arte contemporanea, probabilmente è perché non si crede al valore e alla funzione culturale della contemporaneità artistica.
        Per quel che riguarda me personalmente, la stupirò. Al di là delle chiacchiere più o meno ideologiche sul Madre e sul mio ruolo pubblico di fondatore e di direttore di quella istituzione, la realtà è che oggi gestisco una galleria privata a Napoli e dirigo un museo privato a Milano. Insomma, nessuno ha privatizzato il Madre neanche un po’ (era solo una scusa per far fuori noi che l’avevamo creato), io però qualcosa di nuovo e diverso l’ho fatta. E senza denaro pubblico. Vedremo in futuro chi avrò avuto ragione

        • Le concedo l’onore delle armi.
          Il Madre a naso da quello che ricordo e che lei conferma è costato in 5 anni tra realizzazione e gestione circa 100 milioni di euro. Il costo delle attività in fase di start up è stato costoso e il rapporto investimento/numero di visitatori (che sono conscio non è l’unico dato e il migliore per misurare un museo) non è stato brillante. Il numero di addetti del museo era strabiliante, sebbene operante attraverso il meccanismo dei lavori socialmente utili (o qualcosa di simile). Ma questo non è il punto. Molti musei internazionali e anche italiani hanno avuto e hanno budget superiori, ciò nonostante 100 milioni di investimento in 5 anni non sono pochi.
          Per quanto concerne la questione dei privati, di certo non intendevo la partecipazione dei privati (servizi aggiuntivi) che drenano soldi pubblici e neppure pensavo alla gestione privata che forse non sarebbe possibile senza capitali pubblici. Resto dell’idea, invece, che un museo di arte contemporanea debba essere totalmente privato: cioè un magnate collezionista dona tutto il fondo d’arte e se possibile anche i soldi per costruirlo e mantenerlo, poi altri privati investono e proseguono l’opera (come avviene negli Usa). Sono invece in totale disaccordo con l’intervento pubblico poiché l’arte contemporanea è un mercato dove esistono molti stakeholder che investono, speculano, e ci guadagnano, e i musei (pubblici) e i direttori dei musei pubblici certificano l’andamento e l’apprezzamento delle opere/azioni e degli autori/marchi seguendo gusti personali, ideologie, consorterie, interessi a secondo della preparazione e dell’onestà personale. Nulla di male in generale, certo, ma non trovo giusto che lo Stato partecipi a questa cosa, manipolando il mercato. Se proprio si vuole elevare la cultura del nostro Paese attraverso l’arte contemporanea meglio allora investire denaro pubblico nelle scuole, nelle accademie, nei progetti educativi specifici. E per l’esposizione bastino delle Kunsthalle pubblliche (se si vuole) che lo Stato affitta a chi ne fa richiesta senza imporre una propria linea/ideologia. Diverso, ovvio, il ragionamento se parliamo di arte storicamente certificata: diciamo, che lo Stato potrebbe/dovrebbe conservare artisti morti almeno da 50 anni.

  3. Mi spiace di essere tanto in ritardo. Solo per dire che il Madre di Napoli è un grande palazzo del centro storico acquistato e ristrutturato su progetto di Alvaro Siza dalla Regione Campania tra il 2004 e il 20006. Per una spesa complessiva di 40milioni. Nulla a che vedere con il Maxi o con il Macro, il Madre è un museo di impianto classico, di profilo minimalista, senza alcun orpello architettonico. Tra l’altro il museo napoletano, a differenza di quelli romani, ha in dotazione i grandi opere di Koons, Kapoor, Clemente, Serra, Kounellis, Paladino, Paolini, Lewitt, Horn, Fabro, commissionate dalla Regione e realizzate per e nel Madre. L’articolista avrebbe dovuto informarsi, prima di scrivere con imperdonabile leggerezza che al Madre si è fatto come per il Maxi e il Macro

    • Conosco abbastanza bene i disastri e le difficoltà del Madre. Nonché i costi e gli sprechi di questi anni. All’epoca fui chiamato dall’assessore regionale per un parere (confindenziale, ovviamente e senza compenso). Mi spiace contraddirla, ma nel caso del Madre sono stati fatti errori uguali se non peggiori a quelli del Maxxi e del Macro. La storia del Madre (paventata chiusura, commissariamento, direzione vacante…) è nota a tutti. Compreso il fatto che la collezione fosse solo a “disposizione” del museo, prestata da solerti privati e poi ritirata in parte. Che oggi le cose siano migliorate è un dato che ci fa ben sperare.

  4. Articolo un pochino carente sulle fonti. In quali paesi anglosassoni “di solito un ricco miliardario dona alla comunità un’imponente collezione” e quando “il ricco miliardario lascia anche un fondo che ne garantisca anche il funzionamento e il mantenimento”? Io che vivo in Inghilterra da 15 anni l’ho solo visto una volta, con la collezione D’Offay – che non è stata ceduta gratuitamente, ma per £25 milioni esentasse, che non è stata lasciata alla comunità ma a due musei particolari (Tate e National Galleries of Scotland) e che non ha incluso un fondo per il mantenimento, ma piuttosto ha dettato condizioni per i riceventi (di essere continuamente in mostra e altro) che la trasformano in un costo ingente per la comunità. Non che questo significhi che il gesto non sia stato da encomiare, ma le condizioni sono ben diverse da quanto riportato nell’articolo. Ci sono altri esempi che dimostrino la tesi? Oppure l’erba non è sempre più verde nei paesi vicini? Saluti, Cristiano

  5. Un tempo Roma era orgogliosa di avere architetture di Michelangelo, Bramante, Vignola, Bernini e Borromini; che non si davano certo le arie di Fucksas e Calatrava. Oggi sono le archistar ad essere orgogliose di avere le loro ‘creazioni’ nella Città Eterna. Ma perchè abbiamo dato tutta questa soddisfazione alle archistar?

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