In Darsena a Milano l’arte si accende con Avvassena e Quadruslight

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In occasione della quarta edizione della One Ocean Week organizzata da One Ocean Foundation, l’artista Avvassena presenta Oceanic Humanity, un’installazione site-specific che unisce arte, tecnologia e coscienza ambientale, realizzata in collaborazione con Quadruslight, brand di Queenlight specializzato in sistemi di retroilluminazione per opere artistiche. L’installazione è visibile dal 20 al 25 maggio fra Piazza XXIV Maggio e Piazza Darsena, a Milano.

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Il progetto Oceanic Humanity è la testimonianza dell’impegno di Avvassena verso la tutela dell’ambiente e la sensibilizzazione sull’equilibrio fragile tra uomo e natura. Tre cubi luminosi, prodotti e realizzati da Quadruslight, emergono nello spazio urbano come fari di un mondo sommerso, accendendosi di immagini che fondono radiografie umane e microfotografie di plancton. Questa inedita combinazione visiva dà vita a forme traslucide e poetiche, capaci di evocare un’inedita connessione tra la corporeità umana e l’universo marino.

L’installazione di Avvassena non è solo una dichiarazione estetica, ma uno spazio meditativo in cui il visitatore è invitato a riflettere sulla nostra interdipendenza biologica con gli oceani e sulle conseguenze dell’Antropocene. Attraverso la luce, la trasparenza e il simbolismo visivo, Avvassena ci guida in un viaggio immersivo che stimola corpo e coscienza, risvegliando un senso di appartenenza a una totalità condivisa e interconnessa. L’abbiamo incontrato a Milano e ha accettato di parlare con OFF:

Oceanic Humanity nasce dall’incontro tra radiografie umane e plancton: cosa ti ha ispirato a unire questi due universi visivi così distanti?

Mi ha ispirato la volontà di raccontare l’interdipendenza vitale che esiste tra l’essere umano e l’oceano. Radiografie e plancton appartengono a mondi diversi, ma entrambi rivelano qualcosa che non vediamo a occhio nudo: una dimensione nascosta, eppure essenziale. Le radiografie mostrano ciò che siamo dentro, la nostra struttura; il plancton, microscopico ma fondamentale, produce l’ossigeno che respiriamo e sostiene la vita marina. Unendoli, ho voluto creare un ponte visivo e simbolico tra queste due realtà, per evocare una verità profonda: la nostra esistenza è intrecciata a quella del mare, e proteggerlo significa proteggere noi stessi.

Come si è sviluppata la tua collaborazione con Quadruslight e in che modo la tecnologia della retroilluminazione ha influenzato il processo creativo dell’opera?

Con Quadruslight si è creata una sintonia immediata: entrambi volevamo superare i limiti dell’immagine tradizionale. La retroilluminazione ha trasformato i miei lavori, in particolare la serie Human Cosmogony, in superfici pulsanti, dove la luce non solo rivela, ma accompagna l’osservatore in una dimensione ulteriore. È stato un processo organico, in cui tecnologia e visione artistica si sono intrecciate per dare corpo a qualcosa di ibrido e unico.

La tua installazione invita a riflettere sul concetto di “umanità oceanica”. Cosa significa per te, oggi, sentirsi parte di questo respiro condiviso con il mondo marino?

Significa riconoscere che non siamo entità isolate, ma parte di una rete vitale che affonda le radici nelle profondità marine. L’oceano è parte di noi: nei ritmi, nella struttura delle cellule, nei cicli biologici che ci governano. Sentirsi “umanità oceanica” è un atto di consapevolezza e di responsabilità, soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui l’impatto umano è così evidente e distruttivo. È un invito a risintonizzarci con ciò che ci sostiene, in senso fisico e simbolico.

Quale messaggio speri che il pubblico porti con sé dopo aver vissuto l’esperienza immersiva di Oceanic Humanity durante l’Ocean Week?

Mi auguro che l’esperienza lasci nel pubblico una traccia profonda, un senso di connessione reale con l’oceano. Non siamo esterni alla natura: la sua salvezza è la nostra. Con Oceanic Humanity cerco di attivare una presa di coscienza sul fatto che la sopravvivenza dell’oceano è inseparabile dalla nostra, sia come singoli individui sia come comunità globale. Il mare non è un altrove lontano: ci vive dentro, ci attraversa, ci sostiene. Se riusciamo a percepirci parte di questa rete vitale, allora forse saremo anche più pronti a difenderla. L’arte può aprire questa porta, creando uno spazio emotivo e sensoriale in cui sentirlo davvero.