Francesco Zavatta, la linea oltre la nostra immaginazione

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Francesco Zavatta (Rimini, 1986) dipinge metodicamente ogni giorno nel suo studio fuori Milano. Confinato come un monaco nel suo spazio luminoso e silenzioso, attorniato dal verde di un parchetto, si concentra sul lavoro e accoglie i curiosi come noi che vogliono conoscere i segreti della sua pittura.

Chi sei e cosa fai ?

Artista di professione, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze e in seguito a quella di Venezia. Collaboro con gallerie d’arte e con aziende e scuole, credo che l’arte contemporanea debba dialogare con il mondo del lavoro e dell’educazione. Mi appassiona la pittura figurativa come mezzo di espressione potente e primordiale, e lamia ricerca sul mondo della natura (in particolare i riflessi dell’acqua e i colori del cielo) e l’urbanistica e dei luoghi contemporanei (città, parcheggi, stazioni, aeroporti).

Hai studiato all’Accademia di Belle Arti a Firenze e ti sei specializzato in Pittura all’Accademia di Venezia, quanto ha inciso la cultura classica nel tuo lavoro, l’olio e la ricerca della luce nei tuoi paesaggi cromatici?

A Firenze andavo molto spesso a vedere dal vivo le opere di Michelangelo, i Prigioni in particolare, a Venezia passavo le ore a osservare il colore di Pontormo, di Tiepolo, Tiziano e Tintoretto e questo mi ha fatto crescere con la consapevolezza che il colore e disegno sono imprescindibili nella tradizione italiana e nella mia ricerca. Dall’unione di questi elementi nasce il gesto che mi permette di dare vita all’opera. I maestri del colore hanno inciso nella composizione, della prospettiva e dei intensità cromatica.

Dal paesaggio urbano post-espressionista, nella serie Aiport e Parking del 2019 sei sempre più concentrato sulla linea analitica della pittura, come traccia di uno spazio mentale, cosa ti interessa dipingere ?

Dentro a quegli spazi aperti, desolati ma carichi di tracce vissute, la linea ha un significato potente, perché rivela qualcosa a cui guardare. La pittura ha questa capacità di evocare dei ricordi e farli vivere nel tempo, in modo sempre vivo, spingendo l’orizzonte oltre la nostra immaginazione. Attraverso queste linee mi interessa arrivare al cuore di chi le guarda: ecco perché sono così nette, per evitare equivoci. Dal caos della materia, che a volte ci fa perdere la bussola, la linea nella sua semplicità traccia un raggio visivo anche e emozionale.

Squarci, Parking, Aeroporti, Skyline, Monterosa , Ghiacciai, Resegone , sono titoli di tue opere dedicate a paesaggi urbani e naturali, passando dalla rappresentazione di dettagli architettonici di Milano, quali per esempio Torre Velasca a l’iconico grattacielo Pirelli, all’incanto delle montagne che tracciano il profili del territorio prealpino, ma cosa ti interessa di più il cielo o l’asfalto ?

Il cielo è sempre la cosa dentro cui mi ritrovo di più, perché mi apre, mi fa respirare, mi fa venire voglia di scoprire cosa c’è in fondo a quella luce che si nasconde dietro alla nuvola. E’ il mio orizzonte preferito. Le opere sugli Squarci hanno dentro questo slancio dei fili del tram che vanno verso il cielo; è grazie a quelli che ho scoperto la bellezza di Milano!

A Milano, a Palazzo Pirelli con la mostra Cieli di Lombardia cosa hai esposto e qual è il messaggio della tua ricerca cromatica?

In quel progetto volevo racchiudere i miei 12 anni di permanenza e ricerca pittorica sui cieli lombardi dipinti attraverso i miei lavori sui fili, sulle strade e vette delle montagne lombarde. Colori vivi, deflagranti e nel corso degli anni mia tavolozza è cambiata, si è arricchita di sfumature che mi hanno permesso di dare più profondità alle opere.

Non ti è mai venuto in mente di passare dal classico dipinto a muro alla videoinstallazione che comprende il passaggio all’installazione multimediale, lo faresti?

Perché no! Mi piace essere aperto a nuove soluzioni a condizione che rispecchino la mia identità. Per cui per esempio in Francia nelle Carrierès de Lumierès avevo partecipato a un’esperienza immersiva all’interno delle grotte, dentro alle opere di Van Gogh e lì sì ho pensato che poteva essere un’esperienza incredibile anche per il mio lavoro.

Sei comunque catalogato come pittore paesaggista, un erede di Mario Sironi, riconoscibile per skyline cromatici di taglio espressionista, quali sono i tuoi modelli di riferimento ?

Mi sono sempre ritrovato nell’arte di Kiefer nei suoi paesaggi monumentali, nei colori di David Hockney oppure nelle sfocature di Gerard Richter. Ho guardato sempre ad artisti milanesi, come Frangi, Papetti, Letizia Fornasieri o altri come Alioto che con i loro linguaggi e attraverso incontri e dialoghi concreti mi hanno aiutato a fare i miei passi dentro a questa realtà grande che è Milano.

Lavori su documentazioni fotografiche, ci racconti il processo del tuo lavoro?

Il punto sorgivo è sempre da qualcosa che vedo con i miei occhi, poi stampo una foto, scelgo il taglio e i colori e infine parto lanciando il colore sulla tela. Ho in mente quello che potrebbe essere il quadro finale, ma poi seguo anche quello che accade nella tela. Quello creativo è un processo molto affascinante. Perché tu devi mettere in pratica tutto quello che sai della composizione, delle proporzioni delle cose all’interno del quadro, della prospettiva e dei colori, ma poi quello che accade sulla tela è sempre in una certa misura imprevedibile.

Conosci Ansel Adams , fotografo naturalista a cui il movimento ecologista deve moltissimo, noto anche per avere sperimentato le tecniche dei fotografi pittorialisti e per avere intuito da subito l’importanza della luce nel suo lavoro, che procede per “zone tonali”, un po’ come fai tu in pittura, ti ha influenzato il suo sguardo?

Sì grande fotografo americano, mi è capitato di vedere delle sue fotografie in libri, tra quelle che mi hanno folgorato c’è The Golden Gate before the Bridge, San Francisco, California, 1932. Un cielo con delle nuvole immense, che è capitato anche a me di vederle in alcuni viaggi fatti negli Usa. Certamente mi ha influenzato, per la sua capacità di cogliere la luce nello spazio.

Quando non ti piace un tuo dipinto magari di grandi dimensioni che fai ?

Quando dipingo a grandi dimensioni e succede che non mi piace di solito procedo che faccio una pausa e cerco di capire come risolvere l’errore. A volte succede che riesco a trovare la via che mi porta alla risoluzione del problema e sono tutto felice. Altre volte non riesco, e devo buttare tutta l’opera.

Quali gallerie seguono il tuo lavoro?

Lavoro principalmente con Galleria Zamagni Arte di Rimini e sono in rapporto con altre gallerie che seguono la mia ricerca, come la galleria milanesi Tommasi, Rubin e la galleria Jannone.

A cosa serve la pittura nell’epoca digitale

Serve a fare riflettere, a fare scuotere le menti delle persone per dare spazio ai propri sogni. La pittura attraverso i gesti e i colori può fare tanto. A me capita spesso che la gente mi scriva ringraziandomi per quello che faccio, perché iniziano la settimana con una prospettiva nuova. Questo accade perché tutti i lunedì da ormai 10 anni invio una newsletter del lunedì, che è una mail con una mia opera, accompagnata da un breve commento. Perché il lunedì? Perché il lunedì si ricomincia sempre, nel bene e nel male, volenti o nolenti e io desidero con il mio lavoro augurare a tutti (e a me stesso) un buon inizio, ognuno il suo!

Che rapporto hai con la tecnologia ?

Un rapporto bello e sono consapevole che la tecnologia aiuta molto ad avvicinare l’arte alla gente, anche se poi credo che ci sia bisogno dell’incontro fisico per apprezzarla C’è un articolo di Maria Vittoria Baravelli molto interessante che dice: “che l’esperienza diretta con l’arte è insostituibile. La vista di un’opera dal vivo non solo stimola il cervello, ma innesca sentimenti profondi, proprio come i versi di una poesia.” Utilizzo la tecnologia, i social network e le varie piattaforme per arrivare poi a fare incontrare fisicamente le mie opere.

A quale opera stai lavorando ?

Sto lavorando a una linea sottile, a proposito di linee. L’opera è una strada in un momento particolarmente intenso di luce, abbagliante, che illumina la parte in fondo della strada. La linea sottile va verso quella luce che ristora, come quando si ritorna a casa.