Marilena Vita artista del corpo tra sacro e profano

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ALICE'S WAR performance ALICE'S WAR performance presso Emergency Sede di Venezia 2024

Marilena Vita, nata Siracusa, classe 1972, artista multidisciplinare, si racconta in questa confidenziale intervista. Laureata presso l’Accademia di Belle Arti di Catania ha studiato regia all’’Accademia Nazionale di Arti Cinematografiche a Bologna. Vive e lavora tra Milano, Amsterdam e Siracusa, il suo atelier si chiama Montevergine Arte Contemporanea: è al centro dell’isola di Ortigia, a Siracusa, in un palazzo del Seicento, dove realizza i suoi progetti cross-mediali.

Quando hai scelto di fare l’artista e perché sei affascinata dalla Body Art?

Ho scelto di fare l’artista quando ad un certo punto mi sono sentita in sintonia con ciò che creavo, come se fosse un’estensione naturale di me stessa. Il linguaggio del corpo mi affascina perché ritengo sia un modo universale per comunicare, capace di raccontare storie, emozioni e connessioni tra il presente e il passato senza bisogno di parole. Attraverso il corpo e le movenze posso esplorare l’identità, la vulnerabilità e il rapporto tra me e il mondo esterno in un modo intimo e diretto, senza mediazione.

Chi sono i tuoi maestri di ieri o di oggi?

Non ho dei veri maestri a cui mi ispiro, ma con Francesca Woodman condivido il forte interesse per il corpo femminile e l’autoritratto, che mi permette la relazione con lo spazio in cui creo l’opera, che sia fotografia in autoscatto o performance. Tramite questi esploro temi universali, in situazioni dove il gesto rituale e le movenze rimandano a problematiche femminili.

Fotografia, perfomance, video, cinema, qualche volta pittura, sei sincretista, ma come intrecci questi differenti linguaggi e quali sono i tuoi obiettivi di ricerca?

Terminati gli studi, mi sono quasi subito interessata alla videoarte. Nei miei primi video si intuiva già il corpo o parti del corpo alla ricerca di uno spazio. Qualche anno dopo, sentii l’esigenza di mostrare il mio corpo e renderlo protagonista dello spazio. Iniziai quasi a utilizzare la fotografia in autoscatto con l’esigenza di fermare l’immagine con un senso di sacralità, attraverso il gesto rituale e il suono. La performance è arrivata in modo naturale, senza lacerazioni con il passato. Dopo qualche anno ho ricominciato a dipingere. L’aspetto pittorico mi rilassa, fa parte del mio mondo e rimanda a una matrice figurativa che non si risolve mai in una vera figurazione.

In occasione della tua perfomance “Amore e Guerra”, progetto site specific ideato per la Biennale di Mantova del 2022, di te hai scritto: “Io sono la guerra ma anche l’amore e la passione, la bellezza e la tragedia, la compassione e l’orrore. Porto con me la sofferenza dell’umanità“. Ti riconosci ancora in queste parole?

Dopo la notizia della tragedia inaspettata e cruenta con l’invasione della Russia in Ucraina il mio progetto già definito per la Biennale del 2022 subì delle interferenze sostanziali che mi hanno fatto vedere come sia il Bene che il Male sono legati in modo indissolubile da una forza oscura che ogni uomo ha dentro di sé. Questa dualità così potente mi ha sconvolto per un periodo e mi ha fatto capire che oggi più che mai c’è l’urgenza di parlare del male attraverso la bellezza dell’Arte: un linguaggio universale.

Ti senti più Circe, Afrodite, Artemide o la Medusa?

Sono vicina a tutte loro. Streghe eroine dee e sacerdotesse, riflettono il ruolo e le problematiche delle donne nella civiltà antica che persistono ancora oggi.

Nell’ambito nella Biennale di Light Art 2024, hai proposto “Magum Opus, dal buio alla Luce “ una performance complessa ideata in due atti, basata sugli opposti dal bianco al nero, per inscenare il passaggio dall’oscurità alla luce, in cui hai utilizzato anche il fuoco, ci spieghi meglio cosa hai fatto e perché?

Fino a qualche secolo fa, l’unica luce artificiale, è stato il fuoco, la sola luce che riusciva a illuminare le tenebre. La performance messa in scena a Mantova nel 2024, rappresenta il passaggio dall’oscurità alla luce, una condizione necessaria per superare le brutture del mondo, che racconta la storia dell’umanità, della rinascita, del coraggio, della bellezza. Un’azione che interagisce con lo spazio naturale del giardino della casa del Mantegna e richiama valori primigeni che si contrappongono al caos legato al potere economico e sociale e al mancato rispetto dei diritti umani.

In questa perfomance ti sei avvalsa della collaborazione di Liliana Iadeluca, light designer nota per la light painting photography, come vi siete “accordate” in questo lavoro e come ha interagito con lo spazio e il pubblico ?

Liliana Iadeluca è una amica e una professionista che stimo molto. Abbiamo realizzato insieme un progetto fotografico per mezzo della light painting. Un interessante lavoro performativo sulla luce, che ho deciso di proiettare durante il primo atto della mia performance alla Biennale di Light art del 2024.

Marilena Vita – Lliliana Iadeluca MAGNUM OPUS 2024 jpg

Quanto ha inciso nella tua ricerca l’essere nata a Siracusa, cresciuta nella cultura greca, tra mare, storia e mito, il teatro, con l’Orecchio di Dionisio nell’isola baciata dagli dei bagnata dal Mediterraneo?

Siracusa è una città di acqua e di luce, un territorio sacro, dove tra le ninfe, i fiumi e la natura c’è un forte legame. Probabilmente tutto questo ha avuto un forte impatto sulla mia ricerca artistica, soprattutto per il mio interesse al linguaggio del corpo, all’interazione con lo spazio sacro e alla scena. La presenza del teatro, i templi dedicati ad Atena e Artemide, il legame con il mare sono elementi che fanno parte della mia ricerca artistica.

Nel tuo lavoro utilizzi sempre il tuo il corpo, ma che cosa rappresenta per te il corpo in generale nell’arte contemporanea nell’epoca dell’Intelligenza artificiale?

In un mondo in cui la tecnologia e l’intelligenza artificiale ridefinisce dei parametri legati alla percezione dell’identità, la presenza del corpo-carne e dell’interazione con altri esseri umani rimane una realtà tangibile e primordiale, un punto di contatto con la nostra umanità. Il corpo è protagonista di questa vita terrena, è vulnerabile e ha bisogno del contatto fisico ma non può fare a meno di confrontarsi con la ricerca sulle nuove tecnologie.

Come nascono e cosa rappresentano le tue performance?

Le mie performance rappresentano una forma di connessione con l’essenza dell’esperienza umana, intrecciano passato e presente in un dialogo simbolico e corporeo. Attraverso il rituale esplorano il gesto e il movimento che evoca antiche tradizioni, creano spazi di sacralità e trasformazione. Il mito per me diventa un veicolo narrativo, un ponte tra archetipi universali e l’individualità contemporanea, che permette al pubblico di ritrovarsi in racconti senza tempo. Il contatto umano e la partecipazione nella performance si fa linguaggio vivo capace di esprimere empatia, dissolve i confini tra l’io e l’altro.

Come scegli il titolo delle performance?

Spesso i titoli delle mie performance nascono dall’interno dell’opera stessa, da ciò che voglio raccontare, a volte mi ispiro a miti, leggende o rituali legati alla mia terra, o archetipi che richiamino l’immaginario collettivo legato all’opera.

Quando la fotografia non è solo documentazione della tua performance e in quali lavori l’hai utilizzata come espressione artistica autoreferenziale?

C’è da fare una distinzione tra la mia fotografia e la documentazione delle mie performance. La fotografia in autoscatto rappresenta un viaggio intimo e poetico, legato alla ricerca di spazi legati alla memoria, e all’essenza del tempo. La solitudine nel realizzare lo scatto è un atto di auto-riflessione in cui il corpo diventa strumento e testimone di un processo creativo che esplora temi come la trasformazione, la vulnerabilità e la connessione con luoghi che portano tracce di storie dimenticate e intime. Gli spazi che scelgo, sono scenari che accolgono il mio corpo che si trasforma in figura universale.

Alla ricerca artistica affianchi l’attività di docente di storia dell’arte contemporanea, che rapporto hai con gli studenti della generazione digitale e come insegni la passione per l’arte?

Ho insegnato a contratto per dieci anni Storia dell’Arte contemporanea alla Facoltà di Architettura dell’Università di Catania. Il mio rapporto con gli studenti è stato caratterizzato da un approccio aperto, dinamico ed emozionale. Ho cercato di arricchire le lezioni con la mia esperienza d’artista, ho parlato dei processi creativi e della scena culturale contemporanea. L’arte è viva soprattutto se il corpo è strumento d’indagine della condizione umana in relazione allo spazio e società.

L’arte è anche terapeutica, quando e perché?

A mio avviso l’arte è terapeutica quando crea spazi in introspezione, trasformazione e connessione profonda. Quando diventa strumento di comunicazione senza bisogno di parole, quando offre una via per liberare emozioni o blocchi interiori.

Nella tua ricerca post-classica la Bellezza è mito o un’espressione di utopia in un mondo violento, bellicoso, cinico e individualista?

La bellezza dell’arte non è mai fine a stessa, ma è un mezzo per guidare lo spettatore nella complessità della condizione umana e anche nel dolore si può trovare con un significato profondo e di armonia.

A cosa serve la Bellezza?

La bellezza nell’arte sfiora il sublime, un’esperienza che suscita meraviglia, la bellezza è potente anche quando è terrifica, amplifica il messaggio dell’opera rendendo l’esperienza più intensa e significativa.

Che rapporto c’è tra fotografia, video e intelligenza artificiale?

Il rapporto tra la fotografia, il video e intelligenza artificiale è sempre più stretto e ricco di possibilità creative.

Cosa pensi dell’Intelligenza Artificiale, l’hai già sperimentata nel tuo lavoro?

Qualche anno fa avevo lavorato a un progetto insieme a un artista olandese per una performance sulle nuove tecnologie. Una ricerca che affrontava, la tematica del corpo e dell’identità, in cui le tecnologie, l’IA e la realtà virtuale potevano cambiare il modo in cui percepiamo noi stessi e la realtà. Una performance sperimentale site specific eseguita in ambienti virtuali e sconosciuti creati digitalmente, che poi per problemi di fondi non è stato possibile mettere in scena.

Quale progetto stai sviluppando?

Sono alla ricerca di figure che possono collaborare per un progetto performativo che unisca rito, corpo e nuove tecnologie che esplori il dialogo tra il corpo, la luce, e l’intelligenza artificiale per una nuova forma di ritualità contemporanea.