Marina Previtali, nata a Milano nel 1960 da padre bergamasco, pittrice di paesaggi urbani, è un erede di Mario Sironi. Di lei dicono che è testarda, determinata e mai soddisfatta dei risultati raggiunti. Tende spesso a distruggere ciò che dipinge e costruisce con fatica, vive la pittura come un’ossessione, è una portatrice sana di energia attraverso ala pittura, continuando a porsi domande sul suo tormentato “fare” e su come sperimentare nuovi ambiti di ricerca.
Quali studi hai fatto?
Ho conseguito il diploma di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera e insegno Arte e Disegno. Ho uno studio, zona Porta Genova, Milano, che frequento giornalmente dopo le lezioni, dove dipingo quadri ad olio di grandi dimensioni. Nel mio spazio regna un disordine armonico, anche se tendo a disseminare ovunque , quando lavoro pennelli, tubetti, carte colorate, segatura, sabbia e altri materiali per appropriarmi ed espandermi nel piacere di perdermi nell’emozione di essere parte di un tutto. Preferisco lavorare a tarda sera perché la notte mi aiuta a concentrare le energie e a potenziare la forza creativa.
Che importanza ha il disegno nel tuo lavoro e quali soggetti prediligi?
Ho avuto fin da piccola la passione per il disegno. Mi bastava una scatola di matite colorate per sognare e isolarmi dalla realtà. Mi sono diplomata al Liceo Artistico e negli anni di Brera da subito ho raggiunto la consapevolezza che la pittura è diventata qualcosa di indispensabile per la mia esistenza e che continua a fare parte delle mie ansie e inquietudini. La pittura cresce con me. Dipingere era e continua ad essere il mio obiettivo primario nonostante riconoscessi la strada in salita che stavo percorrendo.
Il paesaggio urbano è un tema che mi caratterizza fin dagli esordi post espressionisti, considero la periferia come laboratorio del cambiamento che mi permette di indagare la città nella sua complessa stratificazione storica , architettonica sempre dinamica. Sono una osservatrice delle sue perenni trasformazioni, che immobilizzo sulla tela con larghe campiture, per esaltare e dissolvere la forma e il colore che più del disegno, diventano protagonisti di paesaggi in bilico tra reale e immaginazione, sempre in divenire e mai solidificati in una struttura perfetta. Dipingo l’essenza nervosa e caotica della città, puntando sulla matericità espressiva del colore ad olio.
Il paesaggio urbano inscena teatralità dello spazio antropico; attraverso linee a geometrie variabili, figure tormentate se viste singolarmente, ma anche collettive se colte nell’ insieme, come centro di appartenenza di una comunità in cerca di luoghi riconoscibili: città specchio di una condizione inquieta dello spirito. Dipingo squarci, sequenze in divenire di città per materializzare riflessioni, idee su luoghi urbani e come li percepiamo che celano sia gioie, sia catastrofi esistenziali , vissuti imprigionati in foreste di cemento, spingendo lo sguardo, attraverso il colore oltre gli spazi visibili.
Pensi che il tuo essere madre e artista possa incidere positivamente sull’educazione di tuo unico figlio maschio, oppure per lui sei “troppa” o un problema ?
Contemperare l’essere donna, pittrice e madre è piuttosto problematico. Pur non trascurando il mio lavoro di artista e di madre a tempo pieno, per mio figlio ho dovuto rallentare il passo, soprattutto i primi anni, quando era piccolo e aveva bisogno di me. In quel periodo provavo una certa difficoltà ad andare in studio, ero in conflitto con l’altra parte di me, l’artista che rivendicava il proprio tempo libero per dipingere e quando andavo in studio a lavorare sentivo rimorso per il fatto di perdere i momenti più belli della crescita di mio figlio, giorno dopo giorno, istante dopo instante che non sarebbero più tornati.
Come e quando nasce la Galleria Previtali che porta il tuo cognome da nubile gestita con tuo marito?
Il nome Galleria Previtali è dedicato a mio padre. E’ stato lui, infatti, a incoraggiarci nell’intraprendere quest’avventura, essendo un grande appassionato d’arte e collezionista. Mio padre ha condiviso e spinto la mia scelta e di mio marito Lorenzo ad occuparci della produzione contemporanea, invitandoci a intercettare talenti emergenti, ospitare mostre di artisti già affermati, insomma vivere l’arte come prassi di conoscenza, con l’obiettivo di perlustrare i nuovi linguaggi , scegliendo artisti capaci di rinnovare la loro ricerca stilistica e che concepiscono la realtà metropolitana come metafora contradittoria e complessa della contemporaneità. Ci piace organizzare non solo mostre ma anche incontri e dibattiti su tematiche che investono l’arte, la letteratura, il design, l’architettura, la scienza, ecc., e quest’anno celebriamo i primi vent’anni di attività culturale ed espositiva … intanto sono cambiate tante cose, e Milano ha completamente mutato la sua identità.
Che funzione ha la fotografia nella tua ricerca e modus operandi?
Utilizzo la fotografia per scattare personalmente immagini della città. Percorro strade, quartieri, periferie di Milano ritraendo, da più tagli prospettici, dettagli di architetture e di spazi urbani soprattutto periferici. L’immagine è l’avvio di un processo che, partendo da una visione oggettiva, sulla tela evolve verso nuove soluzioni, interpreto in modo singolare la figurazione di taglio espressionista, attraverso pennellate nervose, evidenziando l’azione, il gesto e il segno pittorico con tonalità e colori accessi, per dare forma nuova a vedute urbane immobilizzate dalla fotografia, con l’obiettivo di annullare riferimenti a un realismo assoluto.
Parto dalla foto come documento visivo che poi voglio completamente trasfigurare, sono solo una traccia per realizzare disegni su carta che poi mi consentono di acquisire una totale libertà espressiva nel segno e nel colore. Dipingendo miro a interiorizzare il soggetto con interventi di sottrazioni e aggiunte, sperimentando, infine, differenti tecniche pittoriche e nuovi materiali su tela.
Cosa pensi di aver trasmesso a tuo figlio?
Ho cercato di trasmettere a mio figlio il senso della bellezza per mezzo della lettura poetica dei differenti linguaggi che la realtà esprime nella quotidianità in continua trasformazione. Respirare arte ed essere circondato da un ambiente creativo, credo sia un valore aggiunto per la sua crescita interiore. Non sempre, però, il ruolo di artista viene percepito come figura professionale; spesso viene frainteso o sminuito tuttavia, dal confronto con i compagni e con altre esperienze familiari, però ne riconosce la sua particolare unicità. Nel tempo capirà che gli ho insegnato a rispettare il proprio tempo e spazio… tutto per sé dove coltivare le proprie passioni.
Che importanza assume il colore nel tuo lavoro?
Il colore materico ha un grande valore nelle mie architetture urbane. E’ steso con ampie pennellate e con spatola ed implica un’azione, un gesto, un segno, una volontà di tracciare un altritudine. Prediligo una pittura colorista, dalle campiture di pastelli ad olio, collage, bitume e materiali di risulta che decostruisce e trasfigura la realtà urbana riconducendola ai piani interiori dell’esistenza.
Per te il disegno su carta è un passaggio importante prima di passare all’esecuzione su grandi tele?
Il disegno, dal gesto immediato, mi aiuta ad entrare nel foglio bianco per poi invaderlo con macchie di chine, acrilici, frammenti di carta e graffi di pastello ad olio. Da questo magma indeterminato emerge una traccia di paesaggio che viene successivamente sottratta dal segno istintivo della matita grassa e dalla stratificazione del colore.
Quali sono i tuoi modelli di riferimento?
Tanti, In particolare Anselm Kiefer, Gerhard Richter, Emilio Vedova, Lucio Fontana, Georg Baselitz, Sebastiao Salgado, Wim Wenders, Thomas S. Eliot, e tanti altri paesaggisti urbani in bilico tra estasi e delirio.
Ti ricordi la prima mostra, com’è andata?
Negli anni di Brera sono stata prescelta per partecipare al X Premio Internazionale Lubiam, “Guttuso e i giovani”, Sabbioneta (MN), segnalata da Luigi Carluccio. E’ stata un’esperienza emozionante che mi ha permesso di confrontarmi con gli altri e di approfondire i campi della ricerca.
Che importanza dai ai titoli?
Uso i titoli per identificare il luogo, per racchiudere i concetti chiave o per esprimere emozioni, senza escludere elementi di conflittualità legati al contesto rappresentato. Evoco e non rappresento, la pittura fa il resto.
Con chi vorresti esporre prima o poi?
Con artiste rappresentative della contemporaneità, riconoscibili per i loro linguaggi e stili differenti, vorrei condividere un progetto al femminile per sovvertire questioni di genere sull’identità, che abbia ricadute non solo estetiche ma anche di utilità sociale, finalizzato a rendere più inclusiva , vivibile e accogliente la città di Milano, dove tutto può cambiare rapidamente.
Qual è il messaggio delle tue opere?
La mia pittura cerca di indagare la realtà allargata che mi circonda, restituendone una visione personale non priva di contraddizioni, caos, sogni, frustrazioni e…visioni.
Cha rapporto hai con la tecnologia?
La tecnologia la ritengo un supporto utile anche nell’arte contemporanea ma non credo possa sostituire mai l’unicità e l’umana profondità dell’artista.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Il desiderio di far vedere a mio padre la strada percorsa, con una mia mostra personale in tutti questi anni, nel nostro spazio espositivo, dedicato a lui.