Wild Wild Pop di Felipe Cardeña tra arte alta e popolare

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Felipe Cardeña, Girls With a Glass Earring, 2024, fabrics, embroideries, jewels, beads and mixed media on canvas, cm 100x100

Con grande entusiasmo e un pizzico di mistero, la mostra Wild Wild Pop di Felipe Cardeña ha aperto le sue porte alla Galleria Vik Milano, regalando ai visitatori un’immersione nel caleidoscopico universo dell’artista. Tra tessuti sgargianti, ricami preziosi e un’esplosione di icone pop che strizzano l’occhio all’arte e alla cultura globale, l’esposizione sembra un mix tra un bazar cosmopolita e un sogno psichedelico.

Cardeña, artista “trotamundoe maestro del caos organizzato, ci invita a guardare oltre il semplice apparire delle cose, giocando con immagini familiari – da Frida Kahlo a emoji sorridenti – che si mescolano in un tripudio di forme e colori. Ma attenzione: ogni elemento ha un suo perché, ogni dettaglio racconta una storia.

L’arte di Felipe Cardeña non si limita a essere decorativa o nostalgica: attraverso la sua selvaggia combinazione di materiali e simboli, diventa un ponte tra passato e presente, unificando in un solo sguardo frammenti di culture lontane e messaggi universali. In questo modo, il lavoro di Cardeña ci invita a riflettere sul significato del simbolo e della memoria culturale.

A cinquant’anni di distanza dai primi esperimenti di arte pop e collage, Felipe Cardeña sintetizza in modo originale la mescolanza di culture, estetiche e simboli in un linguaggio visivo che riflette la globalizzazione artistica e culturale.

Uno degli aspetti più affascinanti dell’arte di Cardeña è la capacità di combinare simboli iconici della cultura pop con elementi storici e spirituali. Immagini come Frida Kahlo, la Mona Lisa, Daisy Duck o teste di tigre diventano strumenti narrativi per esplorare temi di identità, potere e appartenenza. L’approccio di Cardeña sfida le barriere tra arte alta e popolare, creando opere che sono al contempo accessibili e concettualmente stratificate, un’estetica che si presenta “wild” e selvaggiamente policroma.

Come spiega Chiara Canali (curatrice della mostra) nel testo che accompagna l’esposizione: “ La tecnica del ricamo e della tessitura, con le sue molteplici e multiformi colorazioni, non fa altro che accrescere, dal punto di vista percettivo, la mescolanza e l’omogeneità dei particolari che concorrono a formare l’opera e a dare ancor più risalto alle icone in primo piano. Icone estetiche e artistiche che si astraggono dal contesto storico del momento e si caricano di voci personali, rappresentazioni narrative e costruzioni identitarie, nelle quali ancora oggi noi tutti ci immedesimiamo”.

L’artista è anche noto per il suo alone di mistero. Definito “apolide” e “trotamundo”, ha costruito una figura quasi mitologica, sospesa tra realtà e finzione. Questo mistero si riflette nel suo lavoro, che rifiuta categorizzazioni semplicistiche e invita lo spettatore a riflettere sulla fluidità dell’identità e sull’interconnessione globale. Il suo approccio, come dimostra l’installazione “The Temple of the Spirit” alla Biennale di Venezia del 2016, mescola spiritualità, cultura e ironia, offrendo al pubblico un’esperienza visiva ricca e stimolante.

Se non siete ancora passati, avete tempo fino al 15 gennaio, vi aspetta un viaggio tra opere che sembrano gridare: “L’arte non conosce confini, né geografici né estetici!” E se l’intenzione era quella di lasciare il pubblico a bocca aperta, possiamo dire con certezza che Felipe ha colpito ancora nel segno.