Come ogni autunno, la rassegna Artistar Jewels ha riportato l’attenzione del mondo del design su uno dei settori più dinamici – in termini creativi – ma più distaccati delle trasformazioni della società e dei consumi. La manifestazione, che ha richiamato a Milano dal 17 al 20 ottobre una grande schiera di creativi e di brand da tutto il mondo, rappresenta la forza immaginativa e e l’originalità di validissimi autori italiani, portavoce di un “saper fare” di livello superiore, ma anche di un’eredità artistica unica al mondo.
Da sempre, il gioiello è sogno. Lo hanno confermato pianamente le sale di Palazzo Bovara, dove sono state allineate proposte dall’espressività potente e sofisticata, indipendente dalla preziosità dei materiali.
Ma nel fornire risposte alla società attraverso prodotti nuovi, non sempre il design è in grado di pilotare l’immaginario collettivo verso nuove soluzioni iconografiche. Per un progettista, il settore del gioiello è forse quello che provoca un senso di frustrazione quasi assoluto: la ricerca disegnativa corre troppo veloce rispetto al gusto corrente e alla “preparazione” estetica del largo pubblico e soprattutto della proverbiale vanità femminile. Dove il progetto e la ricerca figurativa propongono nuovi codici, la donna è più orientata alla conservazione del classico o a un’idea di civetteria arcaica.
Ai nuovi ornamenti non resta che liberarsi dai riferimenti della tradizione funzionalista e comportamentale. Oramai consapevole della propria autoreferenzialità, il gioiello si astrae dal corpo o si confronta con esso in chiave provocatoria. Persegue forme sperimentali e approda a vere rivoluzioni tipologiche ed espressive, che vanno a contaminarsi con i diversi temi della moda e con tanti altri ambiti del design. La ricerca è tendenzialmente sconfinata e spesso intrisa di ironia e di oniricità.
Collane, bracciali e orecchini possono essere considerati come temi di una nuova ricerca estetica che conquista orizzonti realmente nuovi. Ad esempio, nel lavoro di Gabrielli, il gioiello diventa parte di un vero e proprio quadro. Entra a far parte di un’opera d’arte interattiva: l’utente stacca temporaneamente l’elemento, poi lo rimette al suo posto a dialogare nelle forme, nei colori e nelle texture con una composizione pittorica sofisticatissima, che spesso include anche un grande insetto imbalsamato.
Non necessariamente un gioiello, frutto di un pensiero trasversale e di contaminazioni, presenta forme futuristiche o iper-moderne. Molto spesso i designer recuperano un lessico arcaico, tra organicismo naturale e primitivismo umano, come dimostrato dalle creazioni di Marine Kora, italo- francese, e di Serena Miranda, le cui collane sembrano uscite da una colata lavica.
Il bijou di nuova generazione – usiamo il termine francese per distaccarci dal preziosismo classico – non rivela più status sociale ma condizioni poetiche. Tuttavia esso rimane il frutto di un handcraft di altissimo livello, pur rifiutando la tradizione. Pezzi in serie limitata come ai vecchi tempi, ma con una consapevolezza tecnica e iconografica completamente rivoluzionate. Insomma, se i diamanti erano i migliori amici delle donne, rischiano di essere i peggiori nemici dei designer.