Uscirà il 1 ottobre il suo ultimo romanzo, “Resurrezione” (Mondadori, collana Omnibus, 240 pagine). Lui è Stefano Zecchi, filosofo, romanziere e saggista, editorialista su quotidiani e settimanali, già docente di Filosofia in prestigiosi atenei italiani. “Resurrezione” è un titolo sintomatico: sulla base dell’intreccio narrativo dei suoi tre protagonisti, che affrontano ciascuno la propria “resurrezione” ai confini del mondo, il romanzo ci insegna una possibile via per la nostra salvazione, abituati come siamo a lasciar passare pigramente il tempo sopra le nostre teste e a considerare noiosamente la vita come qualcosa di ovvio. Un romanzo à la Nausée di Sartre, Ma anche à la Nietzsche, se è vero che l’uomo nell’arte e nella vita vive come in un sogno, di modo che in contrapposizione alla realtà la vita diviene tollerabile e meritevole di essere vissuta.
In attesa di rivederlo a Milano per la presentazione di “Resurrezione”, gli abbiamo chiesto a bruciapelo se oggi stiamo vivendo un’epoca apollinea o dionisiaca: «Viviamo un’epoca dionisiaca che tenta di essere apollinea» ci ha risposto secco. Ma se in “Resurrezione”, dalle vicende esistenziali dei tre protagonisti ai confini del mondo, scendiamo (o saliamo?) alla riflessione filosofica e a una forma travolgente di religiosità, noi seguiamo il percorso inverso scendendo dai cieli della filosofia alla terra delle nostre esperienze. Dell’arte, per la precisione.
E a colloquio con Zecchi riandiamo incontro a quella parolina magica, che tutto contiene: sussidiarietà. Conoscere e valorizzare l’arte e la cultura dei nostri territori rispetto al mainstream dell’arte globalizzata ci permette, anche, di ottenere un ritorno alle nostre radici, oltre che la scoperta di esperienze artistiche altrimenti misconosciute. Ma come fare, operativamente? In vista di un interesse comune, in questo caso la cultura, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire: «Nel settore culturale, ci he detto Zecchi, il soggetto pubblico può trovare nell’iniziativa privata una certa indipendenza operativa in un confronto fattivo attraverso la sussidiarietà».
Radici, territori, ma anche identità: nel romanzo “Resurrezione” l’identità dei personaggi e dei luoghi è fondamentale. Inevitabile chiedergli qual sia la “sua” città identitaria: «Venezia, la città dove sono nato e cresciuto, per la sua eleganza. L’altra è Milano, la mia città d’adozione, per la sua praticità».
Fra due settimane potremo iniziare a perderci nella “rivoluzione” esistenziale e affrontare la nostra “Resurrezione” leggendo l’ultimo romanzo di Zecchi: in attesa di rivederlo nella sua “città d’adozione” per la presentazione del libro, consiglio a tutti in questi giorni d’attesa un “ripasso” di alcuni capisaldi filosofici, Sartre, Schopenhauer e Nietzsche. Niente di meglio per iniziare questo viaggio di rinascita.