Con la mostra MILART Milano è sempre”the place to be”

0
Marianna Quartuccio, Milano, vista da un tram

Il 1 Marzo 2024 si è svolta con grande successo l’inaugurazione della prima edizione della mostra “MILART” nella prestigiosa sede di Palazzo Durini a Milano, un progetto espositivo dedicato alla città meneghina ha riunito 46 artisti provenienti da 17 paesi diversi.

Per introdurre il visitatore in un ambiente pienamente milanese, si è tenuta una performance di live painting dell’artista milanese Filippo Bragatt, che ha realizzato i ritratti di due personaggi molto legati alla città: Giorgio Gaber e Enzo Jannacci. Inoltre la serata è stata accompagnata dalla musica live milanese eseguita dal cantautore Paolo Menichini.

La serata di opening è stata accompagnata da un aperitivo molto apprezzato dagli ospiti, offerto dal partner di progetto “La Versa”, storico brand che dal 1905 porta con sé oltre un secolo di tradizione e che dal 2017 è entrato a far parte del Gruppo Terre d’Oltrepò, cantina che rappresenta l’eccellenza della scena viticola italiana dal 2008.

lla presentazione ufficiale di “MILART” sono intervenuti: Eva Amos, la curatrice del progetto, Emanuele Beluffi, critico e giornalista culturale, Simone Lunghi, Presidente dell’Associazione “Angeli del Bello – Milano”, Roberta Brigatti, responsabile del Marketing del Gruppo “Terre d’Oltrepò”.  In conclusione della presentazione si è tenuta la cerimonia di premiazione di 7 artisti vincitori nelle diverse nomination: Barbara Zampieri (“Milanesità”), Sonya Granata (“Innovazione”), Luciana Vilas Boas (“Sostenibilità”), Noah D’Alessandro (“Creatività”),  Marina Bogacheff (“Virtuosismo”), Simona Brianzi (“Damatrà”), Alessandro Giugni (“Focus Milano”). 

MILART e dici tutto. Ce la ricordiamo tutti (e chi allora non c’era ne avrà sentita l’eco) quella “Milano da bere” (copyright Marco Mignani) diventata negli anni ‘80 il faustissimo slogan di un’epoca irripetibile, con l’immagine del celeberrimo amaro che si stagliava su quello skyline meneghino che oggi sembra quasi Dubai. Perché tempus fugit e il mondo cambia e anche se qualcuno nella metà dei ‘90 malignamente aveva detto che quella Milano da bere in effetti se l’eran bevuta, non possiamo negare che il geniale slogan vitalistico e creativo di quegli anni formidabili sia valido oggi più che mai. Con tutti i distinguo. C’è una bella rubrica su un giornale milanesissimo, Il Giorno, che ogni tanto nelle pagine dedicate alla città ci mostra la foto di una piazza o di una via scattata 30, 40 e 50 anni fa confrontata con la stessa piazza o via di oggi: il senso del tutto è un qualcosa che nel tempo si rinnova restando fedele a se stesso. Così è Milano. In bianco e nero dalla Liberazione e a colori dal boom nei Sessanta, caleidoscopica nei succitati anni formidabili con la parentesi grigia dei Settanta. Non occorre essere osservatori speciali come Enzo Biagi per vederne la proteiforme e magmatica creatività, ma un occhio come quello del giornalista e critico teatrale Roberto De Monticelli, che ce la fotografò in mirabili articoli di costume e cronaca dall’immediato dopoguerra fino a tutti gli anni Ottanta sarebbe un punto d’osservazione perfetto. E se, come ha scritto il giornalista Massimo Fini, «in una città come Milano, moderna, modernissima, tu sei connesso col mondo intero ma non conosci non dico chi abita nel tuo condominio ma nemmeno il vicino di pianerottolo» (Il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2024), tuttavia aggiungiamo che L’uomo della folla del racconto di Edgar Allan Poe sarebbe oggi un uomo ebbro di ispirazione creativa se dalla finestra di un locale di via Tortona assistesse alla fiumana di aficionados, fra imbucati e protagonisti e comprimari, della settimana del design mescolati agli art addicted reduci del MiArt e vogliosi tutti di universalità culturale. Alla fine Milano è sempre the place to be, creatività declinata nell’arte, nella moda e nella finanza, ma anche nelle fabbriche e nel sociale (perché Milano era, almeno una volta, col coeur in man), al punto che i nomi di aziende, prodotti e strade sono diventati dei veri e propri toponimi: Alfa Romeo, Pirelli, Milan e Inter, la Scala, la Fabbrica del Duomo e Brera col leggendario bar Jamaica e poi il risotto, il panettone, l’ossobuco ma anche via Filodrammatici col “salotto buono” di Mediobanca, via Solferino con la redazione del Corriere della Sera e via Montenapoleone che è diventata il titolo di del film iconico come il leggendario romanzo da cui è stato tratto, Sotto il vestito niente di Marco Parma alias Paolo Pietroni. Ma certo l’arte è vita e la sua storia (territoriale e nazionale) è anche la storia di Milano, dalle Avanguardie a Corrente al Realismo Esistenziale passando per le architetture così “novecentiste” come quella esemplificata dalla Torre Velasca che l’alter ego dello scrittore Luciano Bianciardi nel romanzo anarchico La vita agra chiama «torracchione di vetro e cemento», simbolo dell’alienazione da far saltare per aria (e anche qui, tanto per cambiare, ne nacque un film). E’ la Milano che cresce e si trasforma incessantemente a stretto contatto con la creatività e l’ingegno che ne rappresentano di fatto la linfa vitale, raffigurata e magnificata dagli artisti che oggi con MILART la tributano e la ri-conoscono nelle sue caleidoscopiche apparizioni. Una città oggi internazionale, ma ancorata alla sua storia, dai valori eterni ma sempre contemporanei, come l’arte, che essendo fedele al presente è sempre contemporanea.