Nella Lettera di Paolo Nani vediamo il potere e il volere del corpo

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La lettera, spettacolo ideato dal genio artistico di Paolo Nani e dalla regia di Nullo Facchini, è un’opera che nella sua carriera trentennale è stata cambiata innumerevoli volte, pur mantenendo inalterato il titolo e il contenuto della trama. Cosa significa questa stravagante scelta teatrale?

Liberamente e volutamente ispirata ad Esercizi di stile di Queneau, La lettera possiede dagli anni ‘90 del secolo scorso la medesima sostanza: un uomo entra in scena, si siede ad un tavolo, si versa un bicchiere di vino, lo beve, per poi leggere l’etichetta e sputarlo sul pavimento. In seguito, contempla la foto di una donna, scrive una lettera, la imbusta, la affranca ma poi gli sorge il pensiero che la penna non abbia l’inchiostro e che sulla lettera non ci sia scritto niente. Controlla: il foglio è bianco.

Scena semplice, apparentemente poco significativa. Nani ripete questo contenuto scenico per quindici volte, con una forma e una manifestazione completamente differenti in ogni frammento: Normale, All’indietro, Pigro, Sorprese, Volgere, Ubriaco, Sogno, Horror, Cinema muto etc.), il tutto scandito unicamente dal corpo e dai movimenti senza alcuna parola.

L’unico momento in cui Nani adopera il linguaggio è all’inizio e alla fine dello spettacolo: prima di cominciare ripete la stessa frase di benvenuto in varie lingue, quasi a voler sottolineare ancor di più l’universalità dell’opera che sta per agire, a fine spettacolo si concede al pubblico per ulteriori chiarimenti circa ciò che ha portato in scena, mettendosi completamente a nudo. Questa presa di posizione di Nani, il quale sfonda in modo decisivo la quarta parete e diventa quasi commentatore della sua stessa opera, è un fatto che ha suscitato un interesse e una sorpresa particolari nel pubblico, quasi ancora più paradigmatico e radicale di tutti i cambi di forma avvenuti nello spettacolo stesso.

Le parole che alla fine Nani ha pronunciato hanno avuto un intento principalmente chiarificatore, al fine di delineare un fil rouge che potesse dipanare la matassa del significato celato nella messa in scena. In sintesi, Nani ha dichiarato che il suo spettacolo a prima vista potrebbe sembrare frivolo o unicamente volto al far ridere; in apparenza sembra l’unico scopo ma in realtà non è assolutamente così. Al di là del contenuto della scena, il significato delle variazioni di forma è qualcosa di ben più profondo: ogni variazione, a suo avviso, corrisponde ad un atto di creatività e di libera intuizione.

L’idea dello spettacolo è nata infatti sulla scorta di un momento di disperazione creativa, in cui l’atto del creare gli risultava impossibile, con l’aggiunta del fatto che lui precedentemente a La lettera aveva messo in scena esclusivamente opere drammatiche. Insieme al regista si lasciano ispirare dall’opera di Queneau e da lì, seppur con dubbi ed incertezze, nasce tutto. Le più di 2000 repliche in circa 50 paesi del mondo sono quasi tutte diverse tra loro: Nani, pur mantenendo invariato il canovaccio, varia la forma e lo stile della scena, anche a seconda del pubblico che ha davanti: la scena del Sogno magari diventa il frammento Il giapponese se lo spettacolo viene messo in scena a Tokyo; negli anni si modificano le sequenze, i loro rispettivi titoli (rigorosamente incisi sui cartelli) e le connotazioni stilistiche e modali. Tutto questo viene fatto sull’onda di un flusso di creatività, che, come Nani stesso ha confermato a fine spettacolo, in certi momenti della vita è più intenso, in altri più statico e piatto, tant’è vero che lui in primis per svariato tempo non è riuscito più a mettere in scena nulla.

Si invera sul palcoscenico teatrale la creazione (continua) di questo artista a tutto tondo e soprattutto, ciò che provoca sempre stupore e meraviglia sono le infinite possibilità che il teatro e in tal caso le performance corporee offrono, sia al pubblico che all’attore stesso. Quanto il corpo incide nell’espressione delle miriadi di sfaccettature dell’anima umana? Molto nel caso di Paolo Nani che, considerato il maestro indiscusso del teatro fisico, utilizza in modo eccelso gli occhi, la mimica del viso, tenendo come faro la gestualità parlante del corpo che riesce da tempi antichi a suscitare naturalmente il riso dell’umano. Da una scena semplice, comica e in apparenza banale si possono trarre infinite realtà: le forme e le manifestazioni che un contenuto può assumere sono innumerevoli e uniche, nessuna sarà mai uguale all’altra. Il sorprendente è che nel caso di Nani non è il logos che consente la possibilità ma il corpo: in quest’ultimo risiedono il potere e il volere. Una curiosità è che in una delle svariate repliche de La Lettera, Nani, ha voluto mostrare le contraddizioni e i dis-umani usi della corporeità nel frammento Cinema muto dove inscena la rigida comicità di Charlie Chaplin, espressa in modo puntuale da Bergson con queste parole: “Fa ridere un essere vivente che manifesta la rigidità di un meccanismo. Rido di chi vedo non adattarsi alla vita”.