E’ uscito in questi giorni, per Rubbettino Editore, il nuovo romanzo di Claudia Marin, giornalista del Quotidiano nazionale, napoletana con ascendenze venete. Dopo Figlie uniche ora è la volta di Imperfezioni. Un romanzo individuale e familiare, che indaga e scarnifica un tabù: la violenza psicologica domestica in un ambiente della buona e «sacra» borghesia, un ambiente nel quale formalismo, buone maniere e ipocrisia impediscono di «vedere» certi comportamenti, fino al punto di negarli o di derubricarli a normale dialettica coniugale.
Azzurra, la protagonista, è microscopicamente ritratta nel suo soffrire, a sopportare, in apparenza passivamente, le mortificazioni, le angherie, le sopraffazioni, le sottomissioni, fino alla violenza di suo marito, nel chiuso delle pareti della loro «bella» casa. Le pagine sono anche la trama, sofferta e gravida di ferite e di contraddizioni, di un tenace percorso di consapevolezza, di liberazione e di autonomia.
E così, quello che nasce come «romanzo di formazione» («Bildungsroman»), si trasforma in un romanzo di denuncia del farisaismo perbenista che ancora finge di non vedere la violenza psicologica familiare piccolo-borghese.
E’ la storia di Azzurra, una giovane mamma di tre bambini, nata in una famiglia «perbene» e «perbenista» del Sud, che, dopo un’infanzia e un’adolescenza serene, quasi da cartolina, si laurea in architettura. Subito dopo la fine degli studi incontra l’uomo del suo destino. Con Andrea è colpo di fulmine, anzi di più: lui le chiede subito di sposarlo. Sembra un ragazzo «perfetto». Andrea, però, fin dall’inizio della vita insieme comincia a denigrarla. Ogni pretesto è buono: lei guadagna troppo poco, è una «fallita». Oppure trascura la famiglia per inseguire obiettivi professionali inconsistenti. Oppure non ha carattere, non sa educare i bambini e in generale è una persona incapace. Andrea possessivo, la controlla, la frena. Vuole sostituirsi ai suoi pensieri e alle sue scelte. E Azzurra sembra a un certo punto davvero convinta di essere una nullità. Ma la banalità di tutto quel male che quotidianamente, e ormai “d’abitudine,” suo marito le riversa addosso, ha la strada segnata. Azzurra, proprio quando potrebbe sembrare inesorabilmente annientata, trova, in se stessa, invece, in un finale che appare come un’epifania progressiva, una forza inaspettata. Forse perché in fondo, per la salvezza, non esistono tempi massimi.
All’apparenza, «Imperfezioni» è un romanzo che si rivolge a un pubblico di lettrici borghesi, donne di buona famiglia e di ottima formazione, magari esteriormente perfette nei loro ambienti professionali e sociali. Donne che, però, dietro le loro maschere formali nascondono spesso vite violate da frustrazioni, ferite e condizionamenti, quando non da vere violenze domestiche, tenute celate nel nome del superiore interesse familiare e di una forma di perfezionismo esteriore. In realtà, però, la storia parla a tutti: alle donne come agli uomini, ai giovani come ai meno giovani, alle ragazze e ai ragazzi; perché racconta di un confine invisibile, ancestrale e immanente, facilmente valicabile: quello che separa la normalità dall’abisso, nel quale si può cadere senza rendersi troppo conto, con uno scalino dell’autostima che cede verso il basso giorno dopo giorno. Ma dal quale si può anche risalire.
Il romanzo è originale perché non è un classico libro di denuncia di una storia di violenza e sopraffazione di un uomo ai danni di una donna in un contesto di degrado o di scontata dinamica di dominio uomo-donna. E’, invece, il racconto dei processi e dei meccanismi, sottili, intimi, psicologici che si mettono in moto o che possono mettersi in moto anche nelle condizioni più normali e apparentemente più sicure, «educate» e perbene. E’ il racconto di una sopraffazione e di un riscatto dentro un quadro familiare esteriormente idilliaco.