Tuoni e fulmini, l’ “Ultraterrestre” Stefano Abbiati in mostra a Pavia

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Andate a vedere la mostra di Stefano Abbiati allestita nella galleria dedicata al genetista e accademico Carlo Fraccaro del Collegio Cairoli dell’Università degli Studi di Pavia.

Il posto è splendido, sembra un antico chiostro benedettino e lo spazio espositivo non è da meno: sa di antico come l’ambiente esterno, circoscritto dal clangore della vita cittadina, per quanto di clangore si possa parlare in riferimento alla tranquillissima e bellissima Pavia.

L’habitat espositivo ha le volte a botte e le colonne e le pareti di un bianco eburneo, con il pavimento in colore grigio chiaro, perfettissimo anche per le mostre d’arte contemporanea.

La personale di Stefano Abbiati si intitola L’ultraterrestre ed è corredata di un testo esplicativo di Gabriele Albanesi, che ha curato l’ordinamento della mostra visitabile fino a sabato 1 aprile e Dio stramaledica chi non ci andrà.

Appesi alle pareti non troverete i soliti quadri, ma blocchi di cemento, gesso, pietra, sui cui Abbiati ha lavorato di sgorbia e colore e grafite: alcuni hanno forma totemica, “una sorta di pensiero mineralizzato nella pietra e nel cemento”, ci dice l’artista.

Ma l’intervento pittorico e incisorio sulla superficie denotano, proprio a partire dagli elementi “duri” di cemento gesso e pietra, un radicamento nell’esperienza naturale per mezzo della raffigurazione di tuoni e fulmini ma anche piante, sassi, volti femminili, gesti o-sceni cioè fuori-di-scena come direbbe il grandissimo Carmelo Bene, elementi floreali che denotano l’origine del mondo e scorci femminili che Franz von Stuck levati.

Tutti immersi in elementi naturali e…innaturali, stranianti. Caratterizzati tutti da un segno scabro, incisivo, nervoso, denotano per reminiscenza, come spiega lo stesso Abbiati, “un elogio innamorato dell’imprevedibile, dell’imponderabile, della presenza mentale nell’Adesso, oltre l’ideologia liquida (Zygmunt Bauman oggi va tanto di moda, n.d.r.) del carino e del giustificabile”.

Ed è proprio questo oltre passamento del “carino”, del “piacere retinico” di duchampiana memoria, a rendere questo Ultraterrestre così terrestre, come i paesaggi naturali sono così gaiamente innaturali: “l’ uomo non conosce se stesso, ma adotta delle idee”, ci dice l’artista. “Rifiuta dunque il proprio eros, ne è praticamente vittima ingrata e sconclusionata, confinandolo, come un cimitero, ai margini della propria città in cui è morto. Questi lavori sono un canto erotico, materico, come lo è una qualsiasi forza della natura che si incontra durante una passeggiata col cane”.

Umano troppo umano verrebbe da dire con Nietzsche ed infatti il riferimento non è peregrino: siccome alla mostra eravamo insieme a Francesco Caprini di Rock Targato Italia, da sempre sostenitore di Stefano Abbiati, abbiamo chiesto all’artista quale potesse essere l’ipotetico commento musicale di questa sua mostra e la risposta ha spaziato da Bach a Battiato, in particolare al Battiato della collaborazione con il filosofo Manlio Sgalambro.

Fra poco inizia il circo della settimana del design a Milano ma se volete vedere davvero degli splendidi oggetti d’arte bellissimi e crudeli come solo una femme fatale saprebbe esserlo, dovete fare un passaggio anche al Collegio Cairoli di Pavia.

Qui c’è tutto Stefano Abbiati (che infatti su alcuni blocchi di gesso e/o pietra ha anche applicato delle porzioni di suoi quadri) ma c’è anche di più: è molto interessante verificare fin dove si possa spingere un artista quando sperimenta sul suo stesso lavoro ma senza tradirlo. Ma, se l’uomo di oggi “rifiuta il proprio eros” e ne è “vittima ingrata e sconclusionata”, allora per dirla con Tinto Brass tradire è anche un po’ tra(sgre)dire. E quindi tout tient.