“Io sono un regista che gira sul set la mattina in giacca e cravatta” Stefano Vanzina, in arte Steno, amava definirsi in questo modo. Un regista prolifico dalla grande cultura oltre che un brillante sceneggiatore, soprattutto di commedie. Un autore capace, grazie anche ad una raffinata sensibilità nei confronti dell’arte, di narrare i processi dell’Italia novecentesca e il grande carrozzone delle sue maschere, mostrando i vizi e le virtù di un popolo da sempre intriso di carnevalesche contraddizioni. Attraverso l’occhio attento del regista Raffaele Rago, l’opera e la vita di Steno prendono una nuova forma grazie ad un documentario affascinante che con un ritmo incalzante ripercorre il dietro le quinte del padre della commedia all’italiana facendone un ritratto sincero, umano, mostrandone anche i lati più intimi ma regalando sempre quella sfumatura ironica e frizzante propria della sua arte, oltre che che del suo quotidiano vivere. Il documentario, prodotto da Andrea Petrozzi per World Video Production e presentato alla Festa del Cinema di Roma, vede Rago in veste di sceneggiatore e montatore oltre che di regista, accompagnato nella scrittura dall’autore del soggetto Nicola Manuppelli. Abbiamo avuto modo di dialogare col regista sull’importanza della scrittura per Steno e dell’eredità che ha lasciato al cinema contemporaneo.
Qual è la genesi del progetto e del suo legame con la figura di Steno?
La genesi è casuale, come spesso accade nella vita, dato che questo film non era stato pensato finché il mio amico scrittore Nicola Manuppelli, adesso anche sceneggiatore per il cinema, scrivendo un libro su Nino Manfredi per il centenario della sua nascita si è accorto che sulla figura di Stefano Vanzina in arte Steno mancava moltissimo materiale, non era stato mai raccontato in maniera approfondita e su di lui esistevano pochissimi libri. Così, parlando con il figlio Enrico durante un’intervista per il libro su Manfredi a Nicola venne in mente di parlargli di me raccontandogli di un mio precedente documentario dal titolo “Segretarie“, dicendogli che avremmo voluto girarne uno anche su suo padre. Vanzina si ricordava del mio film e disse anche di essersi commosso. Per questo accettò ed ecco che partì l’operazione. Insomma, non era previsto questo documentario e tutto è nato grazie alla scrittura di un libro su un altro grande personaggio del nostro cinema.
Nel doc si mostra un ritratto dello Steno più buffo, un uomo che sapeva riportare un geniale umorismo dalla drammaturgia alla vita
Apro una parentesi, sono un regista che crede al documentario che empatizza con lo spettatore e che addirittura gli possa donare le stesse emozioni di un film di finzione. Non amo le operazioni documentaristiche di stile asettico, tengo moltissimo al ritmo proprio per far partecipare il pubblico alla storia proiettata sullo schermo. In questo caso, dato che si trattava di Steno, ho preferito lavorare moltissimo sull’idea di una conversazione con quelli che sono gli amici, oltre che i familiari più stretti, che hanno avuto modo di conoscerlo al meglio e in diversi momenti della sua vita, così da dare in maniera più confidenziale un ritratto intimo oltre che professionale. Attraverso questo lato buffo che menzionavi prima, Steno era capace di portare sullo schermo dei film apparentemente leggeri ma che in realtà erano molto profondi e spesso quell’ironia la trasportava all’interno della quotidianità anche per contrastare quell’aspetto tragico della vita con chi ha dovuto fare i conti. Quindi, come tutti i grandi della commedia all’italiana, possedeva questo grande senso di divertimento per la vita conoscendone però le tragedie, dato che veniva anche dalla guerra.
Steno era un autore estremamente colto, un vero intellettuale. Viene così sfatato il mito costruito da una certa critica che tendeva a sottovalutare sul piano culturale i registi di commedie
Assolutamente. Erano tutti coltissimi. Parliamo di grandi autori come Scola, Risi, Comencini, Salce. Possedevano una cultura che non si fermava soltanto al cinema ma spaziava dalla danza alla pittura e così via. Facevano dei film apparentemente popolari ma avevano delle basi solidissime. Se ancora oggi, dopo tutti questi anni amiamo rivedere queste commedie è perché sono divenute opere eterne, come i classici. Guardare i film di quella generazione penso sia come leggere Čechov o Shakespeare. Oggi esistono molti registi specializzati in cinema di genere per quanto riguarda gli effetti speciali o altre forme di evoluzione tecnologica ma spesso non hanno una cultura che vada oltre la propria materia, questi signori invece conoscevano tutto e la grandezza delle loro opere si basava sulla scrittura.
Parlando proprio della scrittura, Giuseppe Tornatore racconta che quand’era ragazzo intervistò Steno e questi, al termine della giornata passata insieme, gli disse: “Quando arriverà il momento in cui non saprà da dove inquadrare una scena non si preoccupi, metta la macchina da presa dove vuole. Se la sceneggiatura funziona può inquadrare da dove vuole.” Un consiglio che rispetta perfettamente il suo cinema?
Assolutamente si. Oggi esistono molti cineasti bravissimi da un punto di vista tecnico, però a volte ci si dimentica di quanto sia fondamentale la scrittura. All’epoca c’erano sei-sette persone, a volte anche di più, che scrivevano assieme la sceneggiatura di un film. Quindi la loro genialità era proprio questa, di scrivere grandi testi e di non basare tutto solo sui virtuosismi della macchina da presa. Altra cosa stupenda è il sentimento che salta agli occhi quando si guarda uno di questi film. Erano sceneggiatori e registi che amavano profondamente il proprio paese. Se prendiamo come esempio “I due colonnelli” di cui mostro alcuni estratti nel documentario, ci accorgiamo della presa in giro che viene fatta attraverso i personaggi di Totò e Nino Taranto nei confronti della patria durante la guerra ma con un forte amore verso di essa, un ottimismo di un’altra Italia che manca moltissimo e si rimpiange. Oggi la visione del futuro è totalmente pessimista.
Esistono oggi eredi di Steno? Non mi riferisco soltanto alla commedia ma anche al poliziottesco
Il poliziottesco oggi viene celebrato da Tarantino. Steno portò alla luce il primo film di questo genere in Italia, scelta coraggiosa per l’epoca, decidendo tra l’altro di apparire con il suo vero nome e non sotto lo pseudonimo. Inoltre, la Titanus ha annunciato che verrà realizzata una serie tratta dai suoi film sul personaggio Piedone. Tutto questo dopo quarant’anni, dimmi tu se non è eredità questa…