Cultura, benedetta cultura, termine impolverato da strategie di marketing da mainstream: cos’è per noi italiani, se non il nostro patrimonio di bellezza tra arte e territori? Questa parola viaggia accompagnata dalla nostra identità. Il 20 settembre scorso, dalla Sala Umberto di Roma è partito un coro che ha cantato in modo intonato le note di una Cultura liberata da ostentazioni e appartenenze ideologiche: la Gioconda, il David, la Pietà, la Divina Commedia, il Nabucco, di chi sono? Sono della comunità! “Liberare la Cultura, per un nuovo immaginario italiano”: questo il titolo dell’iniziativa che ha raccolto l’appello lanciato dall’ex CdA della Rai Giampaolo Rossi e da Edoardo Sylos Labini direttore e fondatore di CulturaIdentità, abbracciando idealmente chi per una damnatio memoriae ha sofferto ed è stato relegato in una sorta di non considerazione.
Una realtà rappresentata dalle molteplici figure che animano il comparto artistico-culturale e della comunicazione, che non è solo Ezra Pound (ma perché mai etichettare ciò che appartiene a tutti?) o qualche volto noto, ma i più che hanno tanto da esprimere. Resta da superare lo status quo di una politica culturale strumentalizzata dal pensiero unico e che pertanto voglia trasmettere senso di libertà e riconoscimento di quei diritti che da troppo tempo – e già da prima del fantasma del Covid – subiscono un disinteresse istituzionale che fa paura al mondo della creatività – che si deve esprimere per vivere e non sopravvivere. Più volte dal palco della Sala Umberto il direttore Sylos Labini e la giornalista Raffaella Salamina hanno ricordato quanto sia essenziale l’apporto della filiera culturale in Italia, che produce circa 85 miliardi di euro di PIL e dà lavoro ad oltre un milione e mezzo di persone (la cultura e la bellezza della nostra straordinaria Patria hanno necessità di “determinazione e risorse economiche”, come suggerisce Agostino Saccà): artisti, creativi, comunicatori che, nonostante le difficoltà, sono pappa reale per l’immaginario collettivo.
Un convegno che si è tradotto in un evento fortunato, che ha visto alternarsi sul palco diverse autorevoli voci, da Agostino Saccà, Enrico Ruggeri, Alessandro Giuli a Luca Barbareschi, che citando l’esempio del maestro Ricordi agli albori della Scala ha ricordato quanto sia la competenza a fare la differenza: «Ricordi non era stato nominato dalla politica e sapeva leggere le partiture». E poi Marcello Foti, ex Direttore Generale del Centro Sperimentale di Cinematografia, il proprietario della Sala Umberto Alessandro Longobardi, il regista Vincenzo Zingaro, il critico d’arte Francesca Barbi Marinetti, l’onorevole Federico Mollicone, gli ideatori di ItaliaNFT Achille Minerva e Marco Capria, l’editore Francesco Giubilei, il Presidente di Fare Futuro Luigi di Gregorio, la cantante Chiara Capobianco, il chitarrista Fernando Pantini e il doppiatore Luca Violini, testimoni ideali di proposte concrete per la politica del futuro, per due ore dense di emozione davanti a una platea attenta e partecipativa. La cultura crea indipendenza da qualsiasi tipo di conformismo e egemonia: se la penso diversamente da te non significa essere contro di te, ma semplicemente non condividere un’unità di pensiero, perché la cultura è di tutti. Ed è meraviglia etica, antitesi alla bruttezza e alla cattiveria, come afferma con forza Giampaolo Rossi: «la bruttezza è immorale». Senza il pluralismo di pensiero, senza la difesa della creatività e senza il rispetto per tutti non ci sarà mai una società compiutamente evoluta.