Enrico Colombotto, quel profondo Rosso che ispirò Dario Argento

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ph. Emanuele👻Beluffi via Instagram

Chissà quali ostacoli si posero a un certo punto fra la produzione del film Profondo Rosso di Dario Argento e quel mefistofelico pittore di nome Enrico Colombotto Rosso (Torino, 7 dicembre 1925 – Casale Monferrato, 16 aprile 2013).

Avrebbe dovuto collaborare, con la sua arte visionaria, a un film dove i riferimenti all’arte e alla pittura erano e sono tantissimi, ma qualcosa si inceppò. I più piccoli fra noi lo hanno scoperto grazie a quella scena topica del film, dove riflesse in uno specchio si vedono delle teste umane dipinte (e non diciamo altro per non rovinare la sorpresa a quei 4 gatti che non hanno mai visto Profondo Rosso) “alla maniera” di Enrico Colombotto Rosso, di fatto realizzate da un altro artista, Francesco Bartoli, chiamato dal regista affinché facesse delle copie, di fatto una estrapolazione da alcuni studi di Colombotto Rosso.

Chi va a Torino per la mostra su Dario Argento non può non allungare di una cinquantina di Km per visitare la retrospettiva su Enrico Colombotto Rosso (Enrico Colombotto Rosso. Il genio visionario a cura di Lorenzo Soave e Daniela Dello Iacovo) alla Pinacoteca Civica di Palazzo Vittone in partnership con la Fondazione Enrico Colombotto Rosso e il Museo Nazionale del Cinema di Torino, che ospita appunto la mostra DARIO ARGENTO. The Exhibit.

Si dice che Vittorio Sgarbi l’abbia giudicata assolutamente perfetta e che si sia limitato a spostare di posto una delle tante opere esposte (più di 150) nello splendido Palazzo Vittone: infatti la mostra è potentissima nella sua perturbante silenziosità. Parla solo il luciferino artista.

E ci sembra incredibile che già nella seconda metà degli anni Cinquanta in Italia ve ne fosse uno con una così debordante visionaria creatività: avevamo un genio e non lo sapevamo.

Lo potremmo definire “il solitario del Monferrato” rubando la descrizione attribuita a un altro “maledetto”, lo scrittore Lovecraft (“il solitario di Providence“), ma Colombotto Rosso viaggiò molto (Europa e USA e una delle sue prime mostre fu proprio a Providence, nel 53; mise su anche una galleria, la Galatea) e non fu affatto un solitario (incredibili le sue frequentazioni con l’artista italo argentina Leonor Fini e il sodalizio con Camerini, Macciotta, Molinari e Pontecorvo, da cui nacque il movimento Surfanta – Surrealismo e fantasia, associato all’omonima rivista).

E quanto al suo “maledettismo”, era tutt’altro che un saturnino: «Mi sono sempre interessato alle cose che borghesemente si dicono macabre […]. Ci dev’essere una ragione del perché sono attratto da questo ed è certamente molto occulta, perché non è nel mio carattere».

Nella sua arte vediamo Matthias Grünewald ma anche Giacometti e Bacon, la fascinazione per il de-forme e il di-verso (molti dei suoi personaggi appartengono ad un’umanità ispirata a quella incontrata nella Casa d’Accoglienza del Cottolengo di Torino), l’attrazione atavica per l’anatomia (da piccolo passava ore e ore al Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso) e un fortissimo simbolismo: emblematica è l’opera intitolata Lo specchio, che è anche l’immagine scelta per la locandina della mostra.

Mostra che, al pari di quella su Dario Argento, dal punto di vista del suo stesso ordinamento non brilla di fantasia: è un percorso cronologico e va bene così, chi cura la mostra non deve giocare a fare l’artista. Vedremo pertanto i primi lavori della fine degli anni Cinquanta fino agli ultimi esiti della sua produzione artistica (seconda metà degli anni Duemila), passando per una serie di opere su carta, le locandine per il teatro e degli assemblage. Anche qui arricchisce l’esperienza il catalogo pubblicato in occasione della mostra.