La maturità felice e anticonformista di Marco Cingolani a Milano

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Marco Cingolani con la mostra Il Mercante di terre rare alla galleria Gaburro di Milano ci parla di terre rare.

Lui e altri creano un ponticello che porta dalla tabella di Mendelev (le terre rare: 17 elementi indicati “rari” perché trovati in una sperduta area in Svezia) ai navigatori di terre e cose delle terre. Questi sono coloro che arte non fanno, ma si votano ad una amorosa complicità: i mercanti.

Diafani per Marco, che li nomina ed esalta ma li dissipa nei suoi quadri come e meglio di Giacometti, i Mercanti delle terre rare sono un messaggio in forma di offerta: anche l’arte vive di contropartita, anche la poesia. Certo se ne può dibattere sulla sua forma ma è fuor di dubbio che i mercanti sono un principio dinamico dell’espressione artistica: nulla è dunque gratis, e semmai lo fosse tutto si arresterebbe.

Gli stessi passaggi da colore a colore per poi ritornare allo stesso, la perturbante presenza di esseri e cose che non superano la soglia della sottile percezione invitano a seguire la narrazione che si fa spietata celebrazione (come sempre è la pittura), dei mercanti, carburanti dello scambio, esploratori di quel che altrove non c’è.

Marco è stato per alcuni momenti un anticipatore e, come accade a quei pochi che sanno dare zampate, l’anticipo è stato fortuna e sortilegio del suo lavoro. Vendere su un tappetino da vu compra’ le miniature degli orinatoi di Duchamp (titolo: Il Mercato del concetto… ricorda qualcosa?) e nel frattempo, o poco dopo, dar pittura (pitturaccia regale sia chiaro) all’attentato al Papa non è cosa da poco.

D’altronde l’arte è una forma, poetica, di condivisione e conduzione del pensiero, dell’intuizione, del momento, ma condurre è tradurre e tradire: in questa mostra, e non solo in questa di Marco, assistiamo ad una quasi-propedeutica di come, in arte, condurre il proprio lavoro si fondi col suo tradimento.

Traditi gli orinatoi gadget, tradita la pitturaccia del Papa e della Morte di Moro: l’approdo, come sempre avviene in arte, è la pittura. Marco ha tradito il proprio io e le sue velleità dedicandosi alla conduzione, ovvero al tradimento, del suo lavoro.

Una debolezza: dopo aver proclamato geometrie e slogan si offrono curve, sfumature e poesie ? Quasi sempre lo è in effetti. Marco lo sa ancor prima di me e di molti. Eppure i suoi lavori, le dimensioni che vogliono prender spazio anche dove non arrivano, il loro affanno narrativo, la pignoleria che si sposa con l’instancabile invenzione gli e ci restituiscono il superamento di ogni dubbio: il tradimento è la forma amorosa, tanto nella vita che nell’arte che ci trascina e ci abita.

Una maturità felice, anticonformista nel senso pieno del termine e con una sorprendente distanza dall’ossequio alla comprensibilità. Come la poesia è e come la poesia comanda.