Vittorio Aulenti, la fotografia separa la cera dal miele

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ph. di Vittorio Aulenti

“Una chiave molto piccola che apre un portone enorme: ne abbiamo tutti una, nella tasca della giacca, basta solo sforzarsi di allungare una mano e prenderla. E dietro quella porta, si trova la nostra indole più vera, la nostra manifestazione reale, la nostra libertà.”

Una libertà che diventa narrazione fotografica che dagli occhi raggiunge il cuore dentro la città. Vittorio Aulenti nasce a Matera, nel 1988, racconta in scatti la storia di un’umanità nuova. Nel 2019 Matera diventa capitale europea della cultura, con una presenza di 700 mila turisti al posto dei quasi 200 mila del 2010. Vittorio fotografa un passaggio, “separa la cera dal miele”, senza perdere lo spirito del luogo.

“Non amo parlare di ciò che non conosco. Una ricerca a ritroso, un viaggio nel tempo, un ripercorrere ricordi e sensazioni, una riappropriazione del tempo. I temi sono principalmente sociali, oppure legati alla sfera emotiva, più astratti. Diciamo che i veri confini di quello che faccio, sono la zona 0 e la zona X del bianconero.”

Matera. Ho visto Nina volare”, edito da EBS Print, è il titolo del suo libro sulle differenze e il potere dei ricordi, sul permesso che gli diamo di trasformarci anche quando diventano parte di un processo esterno. “Nina vola ancora, sulla sua altalena arrugginita.” Il volto di un tempo, di una Donna, di una città che non vuole perdersi ma ritrovarsi nel cambiamento. La passione come un sarto capace di fare l’orlo al passato, generandosi nel vento della sera, nelle luci arancio dei lampioni, nel silenzio dei giorni d’estate, nell’amore che si scioglie in una scrittura delicata e ricca di sfumature. Scrittura e fotografia si catturano senza mai prendersi in modo definitivo, creano un’intesa relazionale tra passato, presente e futuro.

 “Sono due cose ben distinte e bisogna fare attenzione a tenerle separate sennò rischiano di azzuffarsi. Corrono di pari passo, quello sì. Aggiungono qualcosa l’una all’altra, in maniera distinta e slegata. La scrittura è una specie di fotografia che si può fare seduti sulla poltrona di casa, ma la loro natura è fondamentalmente la stessa. Sono due tipi di immagini che si incastrano bene, se acquisite in maniera distinta e magari anche casuale. Non ci dev’essere connessione apparente, fusione. Come in un rapporto di coppia, nessuno dei due deve dipendere dall’altro in maniera morbosa, ma alla base ci dev’essere un forte legame invisibile.”

Nell’ universo variegato della ricerca, Vittorio collega scrittura e fotografia al suo vissuto, senza il quale non esisterebbe nessun campo visivo, una fotografia che segue il corso della sua vita, che cresce in ogni sguardo che incontra, una vera e propria estensione del suo corpo: “Fare una fotografia è un momento di fibrillazione quasi, di catarsi, di ferocia. In quel momento non ci sono troppi processi mentali, se non le orecchie ed il cuore ben aperti, e la propria vita. Cresciamo insieme, cambiamo, invecchiamo. E ci raccontiamo ogni giorno storie l’uno dell’altro: è così che ci conosciamo, senza sosta. Litighiamo, facciamo pace, ci perdoniamo, ci ritroviamo.  Una gran bella sensazione, quella della totalità. Mi sento così fortunato.”

Una fotografia fatta di una rete di ricordi le cui maglie sono sempre più chiare nella sequenza con cui lascia che si raccontino. Nel tuo progetto “Matera”, la documentazione di un cambiamento a livello globale e l’attenta descrizione di come visivamente muta una città, determina la testimonianza di un vero e proprio esperimento sociale.

“Posso solo dire che questo lavoro mi ha lasciato una semplice domanda, ma dal peso enorme e dal carattere ingenuo, ovvero: ’Cosa sarà di tutto questo?’. Per il resto ho fotografato e basta, ho fatto il mio mestiere. Ho cercato di testimoniare e di raccontare. Un processo ancora in corso, solo il tempo saprà dirlo. Matera invece, per adesso, non la riconosco più. Provo uno strano senso di estraneità alcune volte.”

Una porta aperta all’interno della fotografia per invitarci a vivere il cambiamento al di là del suo stesso processo, Aulenti ci riporta con il suo lavoro all’essenza, ci fa entrare in uno scenario significativo per dare spazio al silenzio educandoci a guardare senza pensare troppo. Uno sguardo che interroga e che si arricchisce attraverso le reazioni personali che diventano reazioni vitali, dimenticandosi di se stesso per cercare di comprendere la realtà. Una ricerca ai margini dell’osservazione, stare dietro l’evento dove le cose secondarie diventano importanti punti di vista visivi. Fotografie che si nutrono della casualità in una meravigliosa dialettica tra paesaggio e ritratto. L’intimità del luogo che si conosce attraverso le persone che lo abitano, la cui moltitudine di narrative si mantiene in equilibrio e la verità è salvaguardata dal fatto di non essere limitata ad una singola visione.