Un divertissement teatrale che penetra a fondo nel delicato rapporto tra uomo e donna in “Beatrice risponde a Dante” di Enrico Bernard, che torna in scena il 18 agosto prossimo a Capri, nella splendida cornice di Villa Lysis, nell’ambito di “Capri incontra Dante”, rassegna per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta.
Emblema del Dolce Stilnovo, nel testo del regista e drammaturgo romano – che ha debuttato a Roma nel 2019 – Beatrice è una donna molto diversa dalla creatura angelicata della letteratura classica: moderna e passionale, reclama la propria femminilità accusando Dante (interpretato dallo stesso Bernard) di averla sacrificata per la sua maestosa opera lirica. La donna lo costringe a tornare coi piedi per terra, a guardare in faccia la realtà come del resto il Poeta stesso dice di voler fare nella sua “missione del vero”.
A darle volto è Melania Fiore, attrice, drammaturga e pianista, allieva e compagna di scena di Mario Scaccia, con un curriculum di importanti riconoscimenti in campo teatrale e collaborazioni nazionali e internazionali di prestigio, tra cui Paolo Sorrentino ne “La grande bellezza”.
“E’ un testo scritto da Enrico qualche anno fa – ci racconta – senza alcuna intenzione polemica, ma con l’obiettivo di far comprendere, col suo stile sarcastico e sulfureo, la grandezza di Dante attraverso la polemica sui suoi versi. Fa un’operazione che potrebbe sembrare contro la sua grande lirica; invece mette in luce quanto il grande poeta sia ancora attuale”.
E cosa direbbe il Sommo Poeta ai giorni nostri?
“Penso che Dante intanto esprimerebbe disperazione per il momento che stiamo vivendo e poi direbbe che bisogna passare dall’Inferno per arrivare alla visione di Dio. Non rifuggire quindi la visione dell’Inferno, ma percorrerlo per riuscire ad arrivare alla verità”.
Essere una donna angelicata al giorno d’oggi potrebbe essere uno svantaggio. Com’è la Beatrice di questo spettacolo?
“Enrico ha riscritto una parafrasi della Divina Commedia facendo rispondere Beatrice punto per punto ogni volta che il Sommo Poeta la chiama. Lei replica in rima a tutte le allusioni di Dante sulla bellezza della donna angelicata e sul suo fascino. E reagisce anche in maniera ironica, però si inalbera, sottolineando “sono una donna in carne ed ossa, passionale, che ha voglia di cose terrene”, e rivendica tutte queste qualità. Lo spettacolo è molto interessante perché c’è una sorta di sticomitia tra lei e Dante, visti come una coppia di sposi in un interno che dialoga e discute; infatti le loro sono tipiche schermaglie amorose. E’ una chiave molto originale per rileggere il poema dantesco, visto finalmente dal punto di vista della donna che prende vita”.
E’ anche un personaggio molto fragile, simile ai protagonisti delle opere del grande drammaturgo Tennessee Williams…
“Infatti il testo mostra tutta la sua fragilità e soprattutto il fatto che la dimensione in cui l’ha relegata Dante le provoca una sensazione di solitudine: l’ha messa su un piedistallo, facendola sedere vicino a Dio nel Paradiso, e questo non le ha consentito di vivere il suo essere una donna sino in fondo, privandola delle cose belle della femminilità. Questo è il senso del testo, che riprendiamo nella bellissima location di Villa Lysis dopo la sospensione della tournée dello scorso anno, e porteremo nuovamente in giro tra settembre e ottobre, con diverse tappe nel Cilento”.
La pièce è quindi una riflessione piuttosto originale sul rapporto uomo-donna. Cosa emerge di questo rapporto nel testo?
“Emerge sicuramente il fatto che si può vivere la solitudine anche a due, perché fondamentalmente sono due persone che parlano ma non si ascoltano. Lui va per la sua strada e continua ad affermare la sua teoria su quello che deve essere la donna, mentre lei cerca di fargli capire cosa vorrebbe essere per lui. Sono quindi due solitudini, quella del poeta e quella della donna che si trova relegata in una figura celestiale, ma in realtà vorrebbe togliersi il marchio di essere “simbolo”, cosa che la donna ha sempre cercato di fare: lottare per essere se stessa”.