Sette stanze dell’anima, sette anfratti del dolore e del trauma, sette cunicoli in cui la morte permette di svelarsi finalmente per come si è. Questo è il “Nudo Shakespeariano”, scritto e diretto da Daniele Gonciaruk, in scena dal 6 all’8 agosto scorsi all’Accademia delle Belle Arti di Messina.
Lo scenario è quello di un obitorio, diviso nelle stanze in cui sette donne nude e dismesse portano il nome di un personaggio shakespeariano, rivisitato o addirittura stravolto: Ofelia, Desdemona, Giulietta, Gertrude, Cleopatra, Cordelia, Tamora. Sono anime che piangono e spesso si compiangono, che urlano la loro solitudine ora in senso letterale, ora in tono sommesso, talvolta con veemenza. Tutte però sentono l’esigenza definitiva di comunicare al pubblico cosa le ha portate su quel gelido tavolo senza più speranza. C’è la Giulietta (Alessandra Mancuso) che tenta di emanciparsi dal suo destino di ragazza rom già promessa sposa a Paride, uomo che non ama, scappando dal campo e rifugiandosi in un circo, dall’altro lato di Roma. C’è la decadente Desdemona (Melania Caratozzolo), che riflette amaramente sul suo passato di donna sottomessa, senza mai una possibilità di scelta. C’è la Tamora di Tito Andronico (Antonella Francica) calata nella realtà della Sicilia strozzata dalla mafia e dai delitti d’onore (e infatti il suo monologo si svolge in una gabbia). Ofelia (Daniela Orlando) che prova a parlare della sua pazzia, rivelando il suo terribile rapporto con un padre-padrone e con Angelo, l’uomo che amava. Il suo rapporto con la madre, reciso bruscamente da bugie e sensi di colpa instillati ad hoc dal padre, che l’ha riempita di insicurezze. “Sono morta, ma tanto morta lo ero anche prima”, dice con amarezza Ofelia. Il passato torbido della dolente Cordelia (Giusi Piccione), testimone e narratrice di stupri e abusi da dietro una tenda, di cui ricorda particolari inquietanti ( “le dita lunghe e il mignolo monco” della mano dell’orco), che cerca anche una redenzione con Giovanni, accusato ingiustamente di furto e poi massacrato di botte davanti ai suoi occhi, prima di essere violata. Il pubblico viene rapito dall’intensa atmosfera noir di una storia che esplora in modo capillare l’aspetto più intimo di sette vite negate o menomate, vite che pagano le loro pene, spesso suscitando empatia nello spettatore. Le bellissime installazioni realizzate dalle allieve Cecilia Currò e Martina Presti, seguite dai docenti del corso di Scenografia Patrizia Donato e Andrea Calabró dell’Accademia delle Belle Arti di Messina fanno da contorno perfetto. La fine del dramma è con l’ex diva Leda Maccabei (la splendida Mara Giannetto), con la mente ormai obnubilata e sulla sedia a rotelle, sorta di decadente Gloria Swanson che porta su di sé l’eterna colpa di sette aborti, “per scelta”, per non perdere anni importanti della sua folgorante carriera. Si chiude sulle oscure note di Leonard Cohen (“A thousand kisses deep”) un’altra straordinaria lettura del genio shakespeariano, con personaggi attualizzati o trasformati con garbo ed estrema creatività dall’autore Daniele Gonciaruk.