Verdoliva, la fotografia che trasforma ogni cosa in un album di ricordi.

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Allinea i timori per il futuro nutrendo gli occhi con profili familiari. La solitudine degli spazi, lo sguardo che si allunga fino a perdersi, la capacità di ritrovarsi con pochissimi punti di riferimento. La quiete di strade deserte e così colme di senso. Una fotografia che intende di più e ci guida a stare. Osservazione e contemplazione coincidono. Dentro – Fuori definiti da un confine sottile, nel quale permangono tutti i rapporti enigmatici e gli elementi misteriosi che si annidano nell’immagine fotografica.

Umberto Verdoliva è nato a Castellammare di Stabia (Napoli). Autore internazionale, nel 2006 la fotografia di strada è diventata la sua attività principale. Un percorso fatto di scelte, non solo di posizioni. In fotografia come nella vita occorre credere in quello che si fa. Nel 2008 è membro FIAF e nel 2018 entra a far parte del collettivo internazionale “VIVO”. Vincitore e finalista di numerosi premi e concorsi di Street Photography. Fondatore e coordinatore del collettivo italiano “Spontanea”.

Umberto utilizza la fotografia come espressione che conduce verso nuove prospettive, del guardare, dell’abitare. Ci lascia entrare in confini che non oltrepassano i luoghi che frequenta, gli incontri, la famiglia, le strade sotto casa, le città in cui vive, evoca all’essenza dei limiti ciò che non può essere cancellato. Presenze temporanee sono l’altro aspetto della realtà che viene colta prima e dopo lo sguardo.

“La fotografia è solo uno dei tanti mezzi con cui si possono raccontare storie, emozioni, sensazioni. Per me la fotocamera è una “penna” e le immagini “parole” che arrivano in maniera diversa e non controllabile ad ognuno. È il grande fascino della fotografia: da una “parola” suggerita fatta di “luce ed ombre” giunge all’osservatore una idea, una storia, una emozione che viene codificata in funzione di ciò che lo stesso osservatore è. Ogni volta è una sorpresa, considero le fotografie come le copertine di un libro; introducono il lettore alla storia che il libro stesso racconta.”

L’archivio è il cuore pulsante della sua fotografia, contenitore di tutte le visioni, ossessioni che spingono ad entrare in dinamiche di osservazioni profonde. Descrive una realtà fatta di attese, di lavoro postumo fuori da sé stesso, nel vuoto celato dall’immagine che ci stimola a cercare. La fotografia pone domande, sottrae da schemi e giudizi.

Il bianco e nero è il linguaggio con cui rappresento le mie più profonde emozioni così provo a trasformare la realtà impregnandola con il mio sentire più intimo. Il colore lo utilizzo quando voglio tenere distaccato me stesso da ciò che vedo. Con il colore provo a non influire emotivamente nelle cose e nella idea che voglio mostrare ma non sempre ci riesco, la parte emotiva, forse poetica è sempre molto presente.”

Lascia spazio alla libertà interpretativa, fa entrare il privato nel pubblico in una danza che diventa letteratura fotografica. Attraverso le immagini, la doppia esposizione, le sovrapposizioni cambia il percorso linguistico nel quale si delinea la consapevolezza del fotografato. L’attenzione cade vigile su ogni singolo dettaglio. L’obbiettivo cerca un punto dal quale l’osservatore possa partire e al quale possa ritornare, un punto che si colloca all’altezza degli occhi, immersi in un altrove indecifrabile. Le città diventano mentali, solleticano visioni in un respiro intimo tra l’uomo e le sue strade, un colpo d’occhio dalla capacità associativa notevole.

Ogni progetto fotografico rappresenta il mio progetto unico: il racconto della mia vita che tenta di diventare universale attraverso gli sguardi degli altri e di chi si riconosce. Ho imparato a non legarmi alle immagini, lascio andare le fotografie nel tempo trovandone spesso collocazioni e significati diversi, perché credo che nel momento in cui le mie immagini vengono comprese e fatte proprie da altri hanno raggiunto lo scopo.”

Una fotografia solida, nata per condividere la sua stessa natura, fatta di serialità che a volte si può associare alla tassonomia degli oggetti. Ma anche gesti comuni ripetuti in geografie di corpi presenti a sé stessi, in una semplicità che nasconde il complesso e svela la poetica dell’autore. Con irrequietezza intellettuale, derivata spesso dai cambiamenti che sopraggiungono improvvisamente nella sua vita. Lascia che le immagini si sedimentino assumendo stratificazioni diverse.

La forza di una buona immagine fotografica non è possibile prevederla a priori, in ogni immagine che scatto c’è una sorta di aspettativa che può andar delusa, come viceversa, può consolidarsi un forte significato in una foto che sembrava inutile. Non ci sono delle regole fisse, la buona tecnica non basta, come non basta solo un forte contenuto. Come utilizzare la semplicità per parlare di cose complesse così nella fotografia il privare il suggerire e il nascondere può permettere di sortire l’effetto opposto, cioè di svelare qualcosa e di smuovere gli animi.”

Gli elementi atemporali sono parte della ricerca di Verdoliva insieme alla memoria come valore ultimo. Ogni fotografia è un riflesso, un pensiero, non trattiene, trasforma la realtà in funzione del suo stato d’animo. “Forse la mia fotografia è paragonabile all’ascolto di un anziano che racconta la storia della sua vita.”

Una presenza silenziosa quella di Umberto, un punto di riferimento che sa farsi memoria, tempo, radici dentro la fotografia. Le difficoltà ad accettare il ritorno è il focus su cui si concentra il suo attuale lavoro. Dopo trent’anni la vita lo riporta a Napoli.

La città di Napoli, più delle altre, possiede due forze inversamente proporzionali, la prima ti spinge a scappare appena se ne crea la possibilità la seconda si mette in moto progressivamente negli anni dal momento in cui l’hai lasciata spingendoti al ritorno. Il mio lavoro fotografico sta nascendo alimentato da queste motivazioni.”

Una moltitudine di sguardi ognuno legato ad una particolare percezione della realtà. Una comunicazione alternativa che rafforza l’incerto per riconoscerne l’inedito. Realtà e immagine della realtà convivono al di là dello sguardo. Una sintonia con i luoghi che diventa ricerca, apre porte.

“Perché viene spontaneo raccogliere sulla spiaggia le conchiglie e i sassolini più belli?

È lo stesso processo mentale che metto in atto con la fotografia; raccogliere semplici attimi dal quotidiano per conservarli nel tempo con la speranza che qualcun altro veda con i tuoi occhi. La fotografia come lunga passeggiata in cui incontri volti, gesti, forme, luci raccogliendole con una fotocamera per trasformarli in armonia, fascino, poesia. Per me è una questione di sguardi, è il potere degli occhi che tentano di vedere fuori il riflesso di ciò che è dentro per spiegarlo a sé stessi, forse si tratta di bellezza come celebrazione della vita dove un pensiero unico e costante sottrae attimi al divenire rendendoli inattaccabili e resistenti al tempo stesso che li ha generati.”