Con Charlie Risso in un sogno di malinconica pace

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Charlie Risso è un’artista che negli anni ha saputo coniugare l’anima folk con l’ alternative rock e il pop il cui mescolarsi senza forzature risulta innovativo e internazionale. Martedì 30 marzo è uscito il video del nuovo singolo “Nothing At All”. Girato in Super 8 e diretto da Marco Pellegrino, il video è un racconto analogico che ripercorre i ricordi di un viaggio romantico e incantato, sospeso tra realtà e sogno. Un parco giochi, una spiaggia e una banchina sospesa sul mare, sono i luoghi dove il sogno rivive e le emozioni si scontrano.

Nel 2016 esce il tuo disco d’esordio, “Ruins of memories”, che vanta delle ottime recensioni da parte di importanti riviste come “Rolling Stone” e “Blow Up”, venendo addirittura descritto come “intenso e senza tempo.” A cosa credi sia dovuto questo elogio?

Al fatto che non sono uscita con un prodotto consono al mercato contemporaneo. Amo molto il genere folk, la mia origine è quella, ho suonato tanto con una band bluegrass che si chiama Red Wine e dunque, anche per questo nel disco sono presenti molti elementi che rievocano il country, il folk e il bluegrass. Nello stesso tempo però, ho sempre coltivato un aspetto elettro-rock come nei Radioead che sono i miei ascolti in età adolescenziale, poi il fatto che mi abbiano definita senza tempo credo si leghi al mio sperimentare, perché la mia è una fusione tra folk e rock contemporaneo. Andando avanti, con “Tornado”, il nuovo album, ci siamo addentrati di più nell’elettronica e anche la pre-produzione fatta da me è stata affrontata diversamente. Quindi potremmo dire che “Ruins of memories” si lega ad un aspetto di voce e chitarra, invece in “Tornado”, dato che ho lavorato molto con Garage band, Proturs, c’è un altro metodo e ciò che suonavo per poi importarlo e svilupparlo in tanti suoni ci ha permesso di sperimentare. Alcuni di questi suoni sono stati presi fedelmente e incisi. Di sicuro c’è stata una bella evoluzione.

Di cosa parla il tuo nuovo album? E da cosa nasce?

Tornado” sicuramente rappresenta l’esigenza di andare incontro al cambiamento qualsiasi cosa debba essere, attraversando la tempesta per uscirne ritrovati. Ho passato un periodo con problemi personali, ero un po’ incerta di alcune scelte, quindi c’è molto di mio in quest’album. In realtà anche dal punto di vista artistico volevo crescere, sperimentare e per farlo mi sono immersa in una modalità che mi ha permesso di raggiungere e di evocare delle sensazioni verso suoni che erano diversi rispetto a ciò che era il mio ambito usuale.

Il 30 marzo esce il videoclip del nuovo singolo “Nothing At All”, girato in Super 8, il cui racconto è mescolato tra realtà e sogno. Puoi dirci come è nata l’idea?

Io sono una fan delle riprese vintage, che danno un carattere un po’ vissuto, un po’ rovinato ed è ciò che rappresenta la relazione di cui parla la canzone, una relazione logora, ormai consumata. C’è quasi l’arrendevolezza di trovarsi in una situazione apatica in cui non si prova niente di niente, come narra il titolo, “Nothing At All”. Il videoclip in particolare descrive l’inizio della relazione ed è un ricordo di qualcosa che è stato. C’è una grande caratterizzazione malinconica che Marco Pellegrino, il regista, ha saputo esprimere al meglio decidendo di utilizzare la Super 8, il che enfatizza ancora di più la sensazione di memoria e del video fatto in casa. È un filmato rubato dalla vita di Charlie, per questo siamo molto legati a quel videoclip sia io che il regista, perché è molto sincero e personale. Di quelli che abbiamo fatto insieme, è il nostro preferito.

Ascoltando le tue canzoni si entra in un mondo onirico fatto di malinconica pace, in cui l’incubo sembra essere dietro l’angolo, forse in uno di quei boschi che spesso hai rievocato.

Nonostante sia genovese, sono attratta dagli scenari dei mari del nord, delle grandi foreste, dei grandi parchi. Sono felice quando sono in montagna, anche perché è un luogo di grande ispirazione per me. Dal punto di vista metaforico, addentrarsi nel bosco vuol dire affrontare ciò che è incerto, infatti sono una persona che non si tira indietro di fronte alle sfide, anzi mi interessa andare a fondo anche nelle problematiche quotidiane o di diverso genere. Per me la scrittura vale a dire mettere su carta dei sogni, dei momenti che ho vissuto davvero, di quelli che al risveglio non capisci se è stato un vero vissuto o soltanto un sogno. Sono una sognatrice, vivo molto di fantasia e quindi nelle mie canzoni c’è un’unione di onirico e realtà.

Hai mai preso spunto da un tuo sogno, o incubo, per scrivere o musicare una canzone? Penso ad esempio a “Dark”.

Guarda, “Dark” in verità è stata evocata da una situazione che ho vissuto. Mi trovavo nella piazza pedonale sotto casa mia, era una sera d’inverno, ero fuori con i cani e c’era un lampione difettoso che si accendeva e si spegneva ad intermittenza. Questa cosa mi ha fatto pensare a quanto potesse diventare improvvisamente cupa la piazza quando quel lampione perdeva la sua luce, trasformandosi in un luogo misterioso che incute timore per poi divenire nuovamente luminoso e accogliente non appena si fosse riaccesa la luce. Quindi la canzone parla di questo, delle contrapposizioni che albergano nel quotidiano di chiunque ma che, fortunatamente, sono cadenzati da picchi di gioia della vita. Credo che “Dark” appartenga ad ognuno di noi. In verità, una canzone che prende spunto da un sogno può essere “Ruins of memories” perché parla di scenari che posso aver sognato, infatti il concetto è quello di aver visitato nei miei sogni degli spazi a cui ero abituata e mi ci sentivo a mio agio ma che in qualche modo non riconoscevo più in forma lucente e onirica, per cui erano freddi, algidi, senz’anima. Erano mancanti anche di alcune parti. Comunque, una cosa che vorrei tanto fare è conservare un taccuino sul mio comodino per descrivere i miei sogni al risveglio.

Alcuni tuoi brani richiamano un tocco cinematografico. Vorrei sapere quali registi influenzano la tua opera e per quale film avresti voluto lavorare alla colonna sonora?

Uno dei registi che sicuramente amo di più è Steven Spielberg per via della sua capacità di affrontare vari generi e poi è un grande della cinematografia mondiale, poi un altro è Tim Burton per le sue ambientazioni e per le storie che racconta. Mi affascinano anche molte serie come “True Detective” e soprattutto “Twin Peaks”, anche perché David Lynch rappresenta quell’elemento di disturbo che amo. Mi piace che ci sia una bellezza che sia disturbata da qualche elemento che non coincide. Poi sono un’ammiratrice di Bryan Sansivero, un fotografo americano che tra l’altro, ha fotografato l’anno scorso la casa abbandonata che io avevo immortalato di mio pugno per la copertina di “Ruins of memories”, ma la cosa più affascinante è che ha ritratto l’abitazione dopo essere crollata. L’ho scoperto per caso e non appena visto la foto, l’ho contattato e lui mi ha scritto ed ha ascoltato la mia musica così come io sono andata a visionare i suoi lavori. Invece, riguardo alla domanda sul film, direi che avrei voluto lavorare alla colonna sonora di “Pulp Fiction” perché avrei potuto sperimentare moltissimo, miscelando folk ed elettronico.

Ritornando al bosco che prima abbiamo citato, quanto credi che quel buio che si cela dietro l’albero, così come il lampione di cui parlavi, sia fuoriuscito all’interno dei tuoi album? E quanto ne puoi ancora evocare?

Ce n’è sicuramente perché è una metafora di noi stessi e del nostro io più profondo. In fondo è presente anche in me, è la parte più oscura, più celata. Mi ritengo una persona piuttosto equilibrata ma dentro di me, nonostante una forte positività, c’è quest’aspetto oscuro rappresentato dal bosco. Quindi la messa in scena dei miei sogni e delle mie visioni che si mescolano alle esperienze di vita reale sono esperimenti incessanti. Credo ci sarà sempre un’evoluzione di tutto questo. Adesso sto lavorando su una nuova produzione con un produttore molto bravo, Federico Dragogna (Ministri) e probabilmente sarà un Ep ed uscirà ad Ottobre prossimo. Anche in quel caso c’è un’ evolversi di questo stato ombroso del bosco attraverso cui mi sembra di fluttuare e sento di aver abbattuto qualche barriera. Quindi per me il bosco rappresenta le proprie paure che mutano attraverso le esperienze. Trovo che lo scrivere sia uno strumento di psicoterapia, perché ti conduce dove non avresti pensato di andare.

C’è una fiaba che in qualche modo, forse anche inconsciamente, ti ha ispirato?

Sarò banale ma credo che “Biancaneve” sia stata la fiaba che più mi ha ispirata.