Massimo Zamboni: “Dopo tanti anni sono qui ancora con questa chitarra”

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Di GG - Flickr: Massimo Zamboni, CC BY-SA 2.0, commons.wikimedia.org

Dal punk filosovietico dei CCCP al rock d’autore dei CSI, raccontando il ventre metallico e irregolare dell’Ost Berlin, e la tragedia della guerra in Linea Gotica. È Massimo Zamboni, uno degli artisti cardine della musica italiana tra anni ottanta e novanta, diventando un punto di riferimento per generazioni di musicisti grazie alla sua militanza nei CCCP e CSI. Fondendo le sonorità della scena post punk tedesca e del rock della new wave. Spaziando numerosi generi, sperimentando dagli eccessi dei primi Ortodossia alle sonorità più “acustiche” dei nuovi progetti. Dopo trent’anni di attività musicale, Zamboni resta un ortodosso che continua a raccontare la sua Emilia Paranoica e Parabolica, tramite album, libri e nuovi progetti. Un profilo musicale condiviso con l’ex sodale Ferretti tornato alla ribalta in duplice veste nello scorso Festival di Sanremo.

Cosa ne pensa delle recenti cover sanremesi di “Amandoti” e “del Mondo”?

Quando sono uscite e sono state pubblicate credo sia giusto che le canzoni diventino di dominio generale, fermo restando la matrice originaria. Mi piace sentire le versioni degli altri perché riescono a mostrare qualità e deficienze delle canzoni composte. Ho ascoltato con piacere le versioni di Maneskin e di Gazzè, perché fanno parte di un mondo molto lontano da quello in cui sono pensate, come è Sanremo. È molto confortante vedere che queste canzoni seguono una storia propria anche indipendenti da noi, diventando parte di un patrimonio collettivo. Penso ad Amandoti, nonostante non sia la mia canzone preferita (anzi forse quella che mi è piaciuta meno), che è diventata un evergreen italiano, grazie soprattutto alle interpretazioni della Nannini e dei Maneskin, disponibile ad una platea più ampia. Rispetto alla versione che ne davamo noi, che amo pensare come un atto di vampirismo. La cover di Gazzè è andata molto bene, rimanendo fedele all’originale e con un arrangiamento eccellente

Negli ultimi anni i CSI e i CCCP hanno subito una forte riscoperta, soprattutto dalle generazioni che non li hanno vissuti. Perché sono così attuali secondo lei?

Perché sii percepisca la forza, la determinazione dietro le composizioni e la loro grande implicita fragilità. Cercando di far entrare fragorosamente un mondo davanti a noi, non accontentandocii di essere il sottofondo della nostra cameretta. Eravamo consapevoli di aver trasfigurato un futuro imminente mentre era ancora latente. Con concezione della musica non è soltanto come intrattenimento, capacità canora, riflettori vestiti. Ciò sarebbe troppo poco; anche se esiste in grande quantità. C’era nei nostri brani una spinta, una voglia di partecipare al mondo. Attraverso slogan rapidi a parole taglienti come Felicitazioni e produci consuma crepa nei CCCP. Mentre, soprattutto, trovavamo una necessità di confronto e conforto.

Sono passati molti anni dalla fine dei CCCP, a quale brano è più affezionato e perché? E nei CSI?

Sono tutti figli nostri, ma le primogenite sono le più radicate in chi le compone. Penso a Punk islam e Live in pankow e Emilia paranoica. Fucilate musicale che rimangono indelebili. Nei CSI A tratti, che apre Ko del mondo, è per me qualcosa di inesprimibile. Una canzone che mi ha travolto appena suonata creando un senso di vertigine.

Nel film Trent’anni di ortodossia dice che “dopo tanti anni sono qui ancora con questa chitarra” come è cambiata nel tempo la sua idea di musica?

Ho preso in mano una chitarra perché non avevo niente di meglio da fare. È uno strumento che mi è capitato quasi per caso, che scelsi per poter seguire Giovanni Ferretti e i CCCP, come del resto fece Giovanni scegliendo la sua voce per seguire noi. Io però non mi sento un chitarrista. La ho ripresa recentemente per suonare un pezzo di un nuovo mio progetto dopo un anno che non la suonavo. Un album in cui canterò, ma non suonerò molto la chitarra. Poiché non mi interessa lo strumento, ma il sentimento che voglio suscitare.

Di che progetto si tratta? Ce ne può parlare?

Sarà un album più cantautorale del solito, in cui parlerò della nostra patria compiendo un duplice viaggio. Alla scoperta del rapporto con la mia voce e con il mio paese. Sarà composto da dieci canzoni e si intitolerà “La mia patria attuale”. Parlando della nostra patria indagandola nel tempo e più in profondità. Suonerò poco la chitarra, ma seguirò sonorità più acustiche per dare maggior spazio alla voce ed una riflessione più pensata. Anche se è ancora presto, siamo in una fase più che embrionale

Oltre i CSI e i CCCP, lei può vantare una ampia produzione freelance, quali sono stati i progetti che più la hanno catturata in questi anni?

Dopo l’uscita dai CSI ho composta una trilogia in musica raggruppata in Prove tecniche di resurrezione confrontandomi con i cambiamenti personali e i grandi sconvolgimenti della storia. Facendo molte collaborazioni e concerti con Nada ed Angela Baraldi dedicandomi alla scrittura e alla letteratura, cosa che con i CCCP e CSI non mi era concessa dati gli impegni frenetici e totalizzanti

In questo periodo si è dedicato a molte attività, tra cui la scrittura, che progetti ha per il futuro?

Scriverò un libro per raccontare la provincia di Reggio Emilia, tra poesia e memoirs, ed il rapporto col comunismo all’emiliana. Cercando di raccontare l’Appennino e l’Emilia. Ho attualmente in cantiere 4, 5 libri che mi fremono molto, il cui tema sono la genealogia della mia famiglia e un romanzo western ambientato in Alaska sull’esperienza di un contadino emiliano che partito dall’Appennino, si trasferisce in Alaska nell’ottocento. Oltre alla mia patria attuale sto pensando ad un album su una riflessione sulla mia vita.

Vede possibile una reunion integrale dei CCCP o dei csi?

Molto semplicemente no