È calata l’ombra sul maestro della luce

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“Sono particolarmente affezionato alla sequenza della nebbia, a quel pezzettino dove si vede il personaggio del nonno che esce fuori di casa con una certa baldanza e fa quattro, cinque passi nella nebbia senza vedere e capire niente, e poi ritorna indietro ed entra in casa per morire. Ecco vorrei augurare a tutti noi di uscire di casa e di fare dei passi, ma non nella nebbia, e poi di tornare indietro per morire, avendo percepito qualcosa e non soltanto una parete immobile senza profondità e trasparenza. Che ne dici di ‘sto finalino, ti va?”

Queste perle dall’animo misterioso, pronunciate da uno degli artisti più misteriosi del secolo scorso Federico Fellini nei riguardi di una delle sue opere più intime “Amarcord”, oggi acquistano ancor più intensità. È venuto a mancare Giuseppe Rotunno, immenso autore della fotografia la cui cultura visiva e l’enorme professionalità lo hanno portato, nel corso della sua lunga e variegata carriera, ad illuminare i fotogrammi di grandi pellicole che hanno segnato la storia del Cinema, lavorando fianco a fianco con celebri registi. Trovò lavoro presso Cinecittà in età giovanissima, dove lavorò come apprendista elettricista e riuscendo più tardi a diventare addetto alla correzione dei negativi e allo sviluppo, stampa e lucidatura delle fotografie ed infine fotografo di scena per lo studio fotografico dell’attore Arturo Bragaglia. Fu operatore nel primo film a colori di Luchino Visconti, “Senso” (1954), divenendo in seguito autore della fotografia di altri capolavori del maestro come “Le notti bianche”, “Rocco e i suoi fratelli”, “Il gattopardo”. Ma il suo più grande contributo alla settima arte lo si deve alla realizzazione delle fantasmagoriche visioni felliniane, perché è proprio nelle opere del Pinocchio di Rimini che Rotunno diede libero sfogo al proprio lavoro, cominciando dal lugubre “Toby Dammit” episodio di “Tre passi nel delirio” per arrivare alla follia visionaria, attraversata da fantasmi tra la nebbia, dei vari “Fellini Satyricon”, “Roma”, “Amarcord”, “Il Casanova”, “Prova d’orchestra”, “La città delle donne”, “E la nave va”. Rotunno è stato uno di quei giganti che non possono essere dimenticati, un pittore della macchina da presa capace di lavorare con chiunque, da Pasolini e Monicelli a Gylliam e Pollack, da Altman e Nichols a Zurlini e Huston, fino a Bob Fosse per “All that jazz” con cui vinse un Bafta Award e ricevette una nomination all’Oscar nel 1980. Adesso il “maestro della luce” è tornato in quel (non) luogo avvolto dalla nebbia (proprio come nel mondo felliniano) per brillare nell’ombra. A noi non resta che la scìa provocata dal suo bagliore.