“Ho sempre pensato a quel signore che esce di casa per andare al cinema…”

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“Non operiamo a cuore aperto, facciamo soltanto cinema!” La lezione del padre Steno (regista di Totò e di Un Americano a Roma di Alberto Sordi) ha segnato decisamente l’intera carriera di Enrico Vanzina. 49 anni di successi, 104 film in attivo, 60 girati con il fratello Carlo.

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Sceneggiatore e produttore, firma commedie indimenticabili come Sapore di mare, Il pranzo della domenica, Eccezzziunale… veramente, Vacanze di Natale, Yuppies. Film che hanno segnato un’epoca e che hanno interpretato, con sguardo sempre benevolo, i vizi e le virtù degli Italiani. Enrico Vanzina ripercorre gli inizi della sua carriera, il rapporto con il fratello Carlo, l’incontro con attori indimenticabili come Alberto Sordi e Gigi Proietti e i suoi film in cantiere. Una divertente chiacchierata all’interno della trasmissione social Malati di Cinema Live (ogni domenica sulla pagina fb) in collaborazione con Giornale Off e l’inserto “Lunedì Film” del Quotidiano del Sud. A condurre: Raffaella Salamina, Pier Paolo Mocci e Luigi Tenzi.

Come inizia il suo percorso nel cinema?

In realtà, io volevo fare lo scrittore, non volevo assolutamente seguire mio padre. Poi però, sono stato risucchiato da questo mondo. Trascinato anche da mio fratello Carlo, che invece aveva una profonda passione. Fu aiuto regista di Monicelli (in “Amici miei”, “Romanzo popolare”, “L’armata Brancaleone”) e aiuto regista di Sordi in “Polvere di Stelle”. Io, invece, iniziai per caso facendo l’aiuto a mio padre e poi mi appassionai con una serie che mi fece girare il mondo “Piedone” con Bud Spencer. In seguito, iniziò il sodalizio con mio fratello. Lui era un enfant prodige della regia e Carlo Ponti gli propose di girare il suo primo film da regista, “Luna di miele in tre” (1976) con Renato Pozzetto. Fu la mia prima sceneggiatura, girammo in Giamaica. Fu proprio Pozzetto a presentarmi Alberto Lattuada e la mia seconda sceneggiatura la scrissi per lui: “Oh Serafina” (1976). Subito dopo scrissi per mio padre Steno quello che divenne poi un cult “Febbre da cavallo”. Fu lui che ebbe l’intuizione di girare come una commedia anni ’50 questo film su un gruppo di scommettitori incalliti e un po’ cialtroni.

“Sapore di mare”, “Yuppies”, “Vacanze di Natale” sono commedie che narrano l’Italia di quegli anni con una leggerezza che affonda le radici nel cinema popolare degli anni 50

È stata una scelta obbligata. Noi apparteniamo ad una generazione in cui i più grandi comici, da Verdone a Troisi, Nuti, Benigni, avevano deciso di auto dirigersi e così non abbiamo avuto a disposizione i migliori talenti della nostra epoca. Monicelli, Steno, Scola, Lattuada avevano avuto attori come Gassman, Sordi, Tognazzi, Manfredi. Noi abbiamo fatto di necessità virtù, realizzando film corali. Abbiamo valorizzato i cosiddetti caratteristi, scritto storie di gruppo. Film che si ispiravano a quelle innocenti commedie anni ’50. Noi abbiamo preso i comprimari, abbiamo lanciato un piccolo gruppo, “I gatti di Vicolo Miracolo”. Da lì, abbiamo scoperto Gerry Calà e personaggi fortissimi come Diego Abbatantuono. È nato un nuovo modo giovanile di fare commedia condita da tanto sentimento. Come “Sapore di mare”, il nostro personalissimo racconto degli anni ’60.

Voi siete ricordati soprattutto per la commedia ma ripercorrendo la vostra filmografia vi siete misurati con diversi generi

Nel corso dei sessanta film fatti abbiamo potuto spaziare e provare a confrontarci con il thriller, il melò e gli storici. È vero, siamo rimasti nell’immaginario collettivo come autori di commedie ma non abbiamo girato solo quelle. I successi al botteghino di “Eccezzziunale… veramente”, “Sapore di mare” e “Vacanze di Natale”, ci avevano dato molto potere contrattuale con i produttori. E così, abbiamo realizzato film con interpreti stranieri come “Sotto il vestito niente” (un po’ alla Bryan De Palma), “Mystère” e “Via Montenapoleone”. Ma anche “La partita”, ambientato nel ‘700, con Matthew Modine e Faye Dunaway o il giallo “Tre colonne in cronaca” con Gian Maria Volonté. Poi, siamo ritornati a fare commedie e tutto è cambiato quando abbiamo messo insieme una coppia vincente. Con “Yuppies” nasce il sodalizio tra Christian De Sica e Massimo Boldi. Protagonisti di film campioni di incassi per ben trent’anni. Alla fine degli anni ‘90 giriamo quello che considero il nostro migliore film “Il cielo in una stanza, con Elio Germano. Malinconico, con una sua grazia e soprattutto un’idea forte ma non ebbe il successo che meritava. Con Gigi Proietti abbiamo girato molte commedie più recenti da “La Mandrakata”, all’esilarante “Un’Estate ai Caraibi” e “La vita è una cosa meravigliosa” assieme ad Enrico Brignano.

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Nei vostri film non avete mai avuto la presunzione di giudicare. Avete raccontato semplicemente i personaggi, nei loro vizi e nelle loro virtù, con sguardo indulgente. Un po’ come accadeva nelle commedie di Totò e di Alberto Sordi

Sono stato sempre orgoglioso di questo. In Italia troppo spesso si fanno film ideologici, raramente commedie di costume. Di recente ho scritto un film di cui sono molto soddisfatto, tra i migliori successi di Netflix. “Sotto il sole di Riccione” diretto da YouNouts con la colonna sonora di Tommaso Paradiso. Un teen movie che subisce l’affascinazione degli anni ’80, un gusto vintage che intercetta il gradimento dei più giovani. Un po’ come fu “Sapore di Mare” all’epoca. In Italia c’è la brutta tendenza a voler giudicare. Ma la grandezza dei classici italiani è sempre stata quella di raccontare dall’interno i personaggi, anche i più negativi. Noi siamo cresciuti, grazie a nostro padre, con un gruppo di artisti come Monicelli, Risi, Age e Scarpelli, Scola, Comencini, Cecchi d’Amico. Ciò che poi abbiamo cercato di fare è proseguire quella lezione. Portare avanti quel tipo di cinema privo di moralismo caratterizzato da un’acuta osservazione, clemente e gentile nei confronti della realtà. Abbiamo provato a raccontare in maniera spassosa i difetti del nostro Paese.

Il vostro è stato in ogni caso un cinema orgogliosamente popolare

Ho sempre pensato, mentre realizzavamo un film, a quel signore che esce di casa per comprare un biglietto e andare al cinema. Dobbiamo fare di tutto per farglielo fare. I film nascono come prodotti artigianali, solo talvolta diventano artistici. Mai prima, non esistono capolavori annunciati. Il cinema è semplice. Ci si sbaglia sempre e si parla molto. Non appartiene agli autori ma è un prodotto collettivo. Il film è del regista, dello scrittore, del direttore della fotografia, degli attori, dello scenografo, del musicista… Quelli che dicono “il mio cinema” li detesto. “Il mio cinema” è un’espressione che non significa nulla. Esiste solo “il cinema”. Puro artigianato mimetico. Bisogna studiare la letteratura, la storia, l’arte, la musica. Certo, non è un lavoro per somari.