Quell’inaspettata nostalgia da cinepanettone

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Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre di CulturaIdentità

Ammettiamolo, mai avremmo pensato di ritrovarci un giorno a rimpiangere perfino l’indigesto cinepanettone. L’interminabile saga, fondata su una profana triade tette, culi & corna, che puntualmente ogni dicembre svettava ammiccante dai muri di ogni borgo d’Italia. Migliaia di coloratissime locandine sulle quali troneggiavano i volti dell’eterno duo De Sica & Boldi, affiancato dalle più avvenenti soubrette e showgirl del momento e dai comici sulla cresta dell’onda, mentre dallo sfondo spuntava l’ultima esotica destinazione.
Come vorremmo ancora poter sollevare il sopracciglio per manifestare il nostro snobistico disappunto, mentre attendevamo pazientemente in coda il nostro turno, in mezzo a famiglie con bambini carichi di caramelle e popcorn, per acquistare il biglietto di un film; qualsiasi altro film, piuttosto che entrare in quella sala. Forse, come tutta la Critica, anche noi ci crogiolavamo nella snobistica autoconvinzione che fosse addirittura rassicurante non condividere quel gusto così popolare, quasi plebeo, quella comicità così greve; quanto oggi ci sorge il sospetto che, forse, il suo successo risiedesse proprio nell’effetto rassicurante che trasmetteva al Paese. Il cinepanettone, in fondo, non faceva altro che mettere in scena, anno dopo anno, l’immagine di un’Italia che, per quanto involgarita e in perenne crisi d’identità, alla fine “la sfangava” sempre. L’Italia dei “ristoranti pieni” e delle belle donne; delle piste da sci e quelle da ballo; un’Italia vacua e godereccia che, in fondo, voleva solo ridere e smettere di pensare. De Sica e Boldi – nel loro trentennale sodalizio – hanno progressivamente perso i contorni di attori per trasformarsi in quei parenti invadenti, che siamo costretti a sopportare proprio perché è Natale. Questo processo è stato poi sicuramente esacerbato dalla peculiarità del pubblico italiano che, innamorandosi esclusivamente di protagonisti comici finiva letteralmente per “costringerli” a interpretare sempre le stesse parti, condannandoli a invecchiare davanti alla cinepresa nella spasmodica ricerca di strappare una risata a denti (ovviamente) stretti. Una sorta di, perdonatemi l’accostamento brutale, “accanimento terapeutico” che imponeva loro (e a tutti noi) vacanze obbligate in mete gettonate come Miami, New York, Beverly Hills, i Caraibi, l’Egitto, Rio e, talvolta, perfino nostrane come Cortina o la (Costa) crociera.

Oggi, però, siamo obbligati ad ammettere che, queste locations, che all’epoca sembravano così assolutamente scontate e commerciali, quasi burine; oggi diventano irresistibili proprio perché irraggiungibili. Il cinepanettone, però, è stato anche il prodotto seriale più longevo e di successo del Cinema italiano. Quando il Natale a…era un trionfo, l’incasso superava stabilmente i venti milioni senza mai scendere sotto i dieci. Unica pellicola made-in-Italy che potesse rivaleggiare (e spesso vincere) al botteghino con i kolossal a stelle-e-strisce e, come ogni buon prodotto, seguiva due semplicissime regole: fare ridere e fare soldi. Anche gli ingredienti della formula erano invariabilmente gli stessi: la Maurofilm di De Laurentis; i due attori feticcio; la regia di Carlo Vanzina, Enrico Oldoini e Neri Parenti; la trama riassumibile nella formula “Vacanze + preposizione + località”; da completare con uno studiato piano-marketing. Il cinepanettone, infatti, per restare competitivo e attraente ha dovuto continuamente reinventarsi pur rimanendo sostanzialmente identico, per assecondare i diversi gusti del pubblico e le fasce d’età degli spettatori. Come l’omonimo dolce che, non potendo variare la ricetta cambia packaging per adeguarsi ai tempi, e che, comunque, alla fine del cenone non si può mica rifiutare. L’ultima portata che si deve buttar giù anche se si vorrebbe solo un Alca Seltzer e, come tale, non si può in fondo imputargli di essere dozzinale.

Il cinepanettone era a tutti gli effetti un “rito nel rito”; una laica processione formata da nonni e nipoti, verso comode poltroncine di velluto; una folla che si precipitava solo quella volta all’anno a riempire le sale. Un’autentica tradizione, come addobbare l’albero, comporre il presepe, scambiarsi i regali, che, anno dopo anno, scandiva ogni Natale. Riguardando, in effetti, quelle locandine si ha la sensazione di sfogliare vecchi album di scuola dove, affianco ai volti invecchiati dei compagni De Sica e Boldi, si ritrovano mode e celebrities dimenticate: da I Fichi d’India alla Canalis, passando da Megan Gale, Carmen Elettra, De Luigi e molti altri.

E come ogni anno a noi, cui questi film sono sempre risultati indigesti, non rimane che orgogliosamente rispolverare i dvd di quelle indimenticabili “feste meste” che sono Parenti Serpenti di Monicelli e il duo Regalo di Natale – Rivincita di Natale di Avati, rimpiangendo però silenziosamente il sorriso smagliante di De Sica e il faccione del “Pollicino” che, a modo loro, ci illudevano ancora una volta che “sarebbe andato tutto bene”.

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