“La figlia di Iorio”, dove pathos e radici si incontrano

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Ogni personalità complessa ha bisogno di un lato umano, un lato pratico ed un lato ancestrale. d’Annunzio era una personalità complessa; “La figlia di Iorio” la sua opera più poliedrica a riguardo, perché atavica nell’ambientazione, ma moderna nei temi.

Il Teatro Stabile d’Abruzzo, direzione attuale a Pietrangelo Buttafuoco, l’ha portata in scena a Pescara Lunedì 7 Agosto 2020, in occasione della settimana dannunziana.

Vincenzo Pirrotta alla sapiente composizione del copione, il Maestro Antonio Vasta alle musiche: il risultato è stato un matrimonio letterario-musicale che fa del pathos e delle radici la costante.

Del pathos perché dai personaggi dannunziani si distilla la sofferenza viva e la si trascende in elementi coessenziali a chi ascolta grazie soprattutto al binomio teatro/musica.

Delle radici perché, nell’intento di eternare le figure pastorali antiche, si finisce per guardare ai patimenti comuni, all’antropologia delle persone che superano i confini temporali e si ritrovano con le stesse costrizioni, gli stessi schemi da rompere, le medesime illusioni o tragedie di sempre.

Volontà lirica e reale di sedimentare, cioè, nelle figure bucoliche e lontane dai fasti e dalle imprese fiumane dei tratti che sono comuni agli uomini della porta accanto. Radici: altresì un luogo astratto dove si ritrovano Vincenzo Pirrotta e il Maestro Vasta. Entrambi siciliani, l’uno alla ricerca della tradizione popolare, l’altro dell'”etnomusicologia”.

Il forte apprezzamento del pubblico abruzzese allo spettacolo ha dimostrato come anche questa volta la grande letteratura sia una chiave d’accesso privilegiata per la storia dei popoli e dei fermenti dei popoli.