La vedremo oggi 22 maggio su Rai 1 nel film tv di Gianfranco Albano “Felicia Impastato” in occasione del ricordo di Falcone e Borsellino e di tutte le vittime della mafia. Lei è Lunetta Savino, che nel film interpreta una madre coraggio alla ricerca di giustizia per il figlio vittima della mafia. Nota al grande pubblico per il ruolo di Concetta in “Un medico in famiglia”, inizia a teatro con i classici (da “Medea” a “Il mercante di Venezia”), debuttando sul grande schermo nel 1982 . Negli anni Novanta le fiction le danno notevoli soddisfazioni. Negli anni Duemila alterna fiction di successo, come “Raccontami” (2006/2008) e “Il figlio della luna” (2007), a ruoli impegnati nei due film di Ferzan Ozpetek, “Saturno contro” (2007) e “Mine vaganti” (2010). Nel 2015 riceve il Premio Flaiano come migliore attrice per la miniserie TV Pietro Mennea – La freccia del Sud. Nel 2019 conduce in seconda serata su Rai 3 il programma Todo cambia. Nel 2018 è andata in scena all’Off Off Theatre di Roma con lo spettacolo il “Laboratorio della Vagina”, un viaggio collettivo in cui le pazienti (e di riflesso gli spettatori), imparano a raccontarsi, a conoscere il proprio corpo, a vivere appieno la propria sessualità. Ma anni prima l’attrice Lunetta Savino portò in scena uno spettacolo che avrebbe segnato la sua carriera teatrale: “Prova orale per membri esterni”, in cui impersonava la divertentissima professoressa del Centro Sperimentale di Pompinologia. “Un salto senza rete”, ci racconta in questa intervista cult di qualche tempo fa e che per l’occasione vi riproponiamo (Redazione).
Ci racconti un episodio OFF degli inizi della tua carriera?
Mi vengono in mente degli episodi tragicomici, perché il tragicomico è la mia vera vocazione. Per esempio, alle medie, imitavo una compagna di classe che cantava nel coro lirico con molto trasporto, e accompagnando la musica con la testa mi si bloccò il collo: un dolore pazzesco, il giorno dopo tornai a scuola con il collare di gesso. Sempre ragazzina, non so perché, mi ero inventata questo personaggio della vicentina – pur essendo barese, lo so fare abbastanza bene il veneto – e una volta, facevo l’autostop con un’amica e ci caricarono dei calabresi: io cominciai a parlare vicentino, e quando dissi che non ero vicentina ma pugliese ci fecero scendere dalla macchina, incazzatissimi. Un’altra volta, a Mestre, mentre ero in tournée con Neri Marcorè, venne a intervistarmi il critico del Gazzettino e io cominciai a fare la veneta. Allora lui mi disse: “Scusi, ma lei non è napoletana?”, e io risposi: “No, no, sono di origine vicentina”, e continuai a parlare veneto, con Neri che rideva dal camerino accanto. Il giorno dopo, sul Gazzettino il critico scrisse che “forse non tutti sanno che Lunetta Savino è di origine veneta”. Queste cose tradiscono il mio gusto per il gioco e lo scherzo.
Hai debuttato con Glauco Mauri con il Macbeth, quindi insomma… roba serissima. Facevi Lady Macbeth?
Ma no, facevo la prima strega! Lady Macbeth era Maddalena Crippa, che è mia coetanea, più o meno, però aveva debuttato già debuttato al Piccolo Teatro Strehler. Sai, chi viene dal sud, secondo me, deve faticare un po’ di più perché si deve spostare per avere delle occasioni.
Hai fatto la Scuola di Teatro di Galante Garrone a Bologna, e ti sei laureata al DAMS con una tesi su Peppino De Filippo: secondo te, la vera scuola di comicità in Italia è quella napoletana?
Sì, assolutamente. È la scuola su cui mi sono formata, che mi appartiene, che sento mia e che più mi fa ridere. Quella del nord, più surreale e più fredda, la apprezzo ma non mi diverte. A parte Cochi e Renato, oppure Abatantuono, che però è un’altra cosa, perché con il personaggio del “terruncello” ha creato un’altra lingua…
C’è anche una scuola pugliese?
Non lo so. Sono stata in tournée con Emilio Solfrizzi ma senza recitare in pugliese, anzi, il testo er di Michael Frayn, un inglese? Però, a me il barese fa ridere da morire e dove è possibile lo uso. Anche quando facevo teatro a Napoli, con Luigi De Filippo e Mario Scarpetta, al cui ricordo sono molto legata, tendevo a fare la barese. Poi però “ho studiato le lingue”, ho studiato il napoletano e mi sono anche buttata su quello. Comunque, l’appartenenza pugliese e barese è utile per chi vuole far ridere.
Non abbiamo ancora ricordato Lino Banfi, che è stato un altro tuo compagno di set, in “Un medico in famiglia”…
È stato un grande compagno. Pur venendo da storie diverse, ci siamo intesi: è una questione di sintonizzarsi sui tempi comici dell’altro, che non sono sempre uguali ai tuoi, però è fondamentale, perchè la comicità è anche un gioco a due, ed è straordinario quando riesce. Con Banfi, capitava che io gli dicessi: “Lino, adesso non ti dico la battuta che c’è scritta. Non so ancora cosa ti dico, ma tu tanto mi rispondi”, e improvvisavamo. Lo puoi fare poche volte, solo con dei grandi compagni. La capacità e la voglia di rischiare non è in tanti attori, ma per esempio in Emilio Solfrizzi c’è. Non significa cambiare completamente il copione, ma che c’è la possibilità di un imprevisto al quale devi essere pronto a rispondere, e a volte questo “incidente” è salutare, perché ti fa scoprire una cosa che diventa poi battuta del testo perché fa molto ridere. Ma questo lo facevano anche i De Filippo.
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Hai parlato del testo di Michael Frayn che hai portato in giro con Emilio Solfrizzi. Era una lettura umoristica delle difficoltà matrimoniali…
Sì, scritto da Frayn nel 1970, fu il suo primo testo teatrale. Era pensato per due attori, un uomo e una donna, che si fanno in… quattro, in cinque. In quello spettacolo siamo stati dei trasformisti, velocissimamente passavamo da una situazione all’altra, soprattutto nel terzo atto, il più lungo ma sicuramente il più divertente, in cui faccevamo non solo i padroni di casa, ma anche gli ospiti. Una corsa forsennata: entrare, uscire, cambiarsi, rientrare come un altro personaggio…
C’era anche una scena in cui la moglie dialoga con il piede del marito…
Sì, il secondo atto unico. Seduti in poltrona, il marito sfogliava un libro, visibilmente infastidito dall’invadenza della moglie che continuava a bere gin e a incalzarlo di domande. L’unico segno di vita, un movimento del piede, infatti il secondo atto si intitolava Mr Zampa. Questo crescendo mostra aun lato abbastanza tragicomico del rapporto matrimoniale.
Hai detto che hai i piedi sexy. Il piede è un feticcio importante: quando un piede è sexy ?
Per me un piede sexy è lungo, affusolato… non lo so, è una di quelle cretinate che dicono le attrici! Più di una volta i registi con cui ho lavorato, per esempio Cristina Comencini, mi dicevano: “Dai, mi fai un dettaglio del piede?”, così ho pensato che i miei piedi avessero una certa eleganza… ma poi io sono una che si diverte a sdrammatizzare.
Invece, com’è il piede sexy di un uomo?
Deve avere un che di elegante, non so descriverlo… cominciamo dalle cose base: unghie curate, e poi non deve puzzare!
C’è uno spettacolo che ha segnato la tua carriera teatrale e che hai portato in giro per cinque stagioni: eri la professoressa del Centro Sperimentale di Pompinologia. Lo spettacolo si chiamava “Prova orale per membri esterni”. È stato una svolta?
Tantissimo. All’epoca non ero conosciuta, fu un salto senza rete. Mi dissi: “O la va, o la spacca. Se non si accorgono di me neanche con questo testo, posso chiudere baracca e burattini”. Venivo da una lunga gavetta teatrale, avevo fatto anche un film, però non riuscivo a fare il salto. Capitò quest’occasione con Claudio Grimaldi, l’autore del testo, che lo aveva recitato lui stesso en travesti nei locali, e decisi di buttarmi. Fu rischiosissimo. Andai nei locali a Napoli e anche alla Fiera del Sesso, perché pagavano bene. Nel tragicomico della mia vita, mi sono ritrovata anche a recitare tra porno star.
Com’è stato?
È stato molto, molto divertente. Era una lezione vera e propria, in cui facevo la professoressa e mi rivolgevo agli alunni come se insegnassi matematica o fisica, ma in realtà la materia era la fellatio. Poi c’era l’interrogazione alla lavagna, e io improvvisavo col pubblico. Per me è stata una palestra fantastica, perché è stata l’occasione di mettermi in gioco come attrice comica. È partito tutto da quel monologo. Attirava molto l’attenzione: la gente veniva a vedere chi era la matta che faceva questa cosa.
Gli italiani hanno ancora molto pudore? C’era imbarazzo nel pubblico?
Sì, era molto spiazzato. Soprattutto perché il meccanismo era quello della scuola, quindi tutti abbassavano la testa quando dicevo: “Vediamo, chi interroghiamo oggi… è inutile che abbassi la testa, perché ti interrogo lo stesso…”. E poi giocavo molto con gli spettatori, tiravo giù i pantaloni ai maschietti che venivano interrogati… ma sempre con moltissimo garbo, senza mai scadere nel volgare, pur essendo l’argomento molto forte. Era l’epoca dello scandalo Bill Clinton – Monica Lewinsky… era il momento clou di questo argomento.
Sapevi che qualche anno fa hanno aperto una scuola di sesso orale a Mosca? Ormai non è più un tabù…
Però allora lo era, lo era! Oggi niente è più un tabù, c’è una perdita di inibizioni esagerata.
Come si racconta la sessualità sul palcoscenico o sul set?
L’erotismo è una cosa molto personale. È tutto quello che viene suggerito, non esplicitato più di tanto. Io ho trovato eroticissimo quel film francese che parla di una relazione tra due ragazze, “La vie d’Adele”. Ma secondo me il film più erotico degli ultimi anni è “Lezioni di piano”.
Un’attrice comica può essere sexy?
Assolutamente sì, però non mentre fa ridere. Io per esempio ho fatto a lungo parti divertenti, di caratterista, e quasi mai ci sono scene erotiche. Oppure ci sono, ma in chiave comica. Per esempio nel primo atto di “Due di noi”, in cui c’è un approccio sessuale goffissimo e assolutamente improbabile proprio perché i protagonisti sono continuamente funestati dal pianto del loro bambino. In generale, i primi baci cinematografici li ho dati molto tardi, perché devi avere un ruolo un po’ serio.
Con chi è stato il tuo primo bacio sul set?
Penso sia stato con Brignano… anzi, no. Con Emilio Solfrizzi in “Matrimoni” di Cristina Comencini. Eravamo una bellissima coppia, in quel film. Facevamo molto ridere, c’era questo bacio forte e passionale, però in una situazione divertente.
Da cosa deriva il tuo nome, Lunetta?
Sono nata mentre il primo Sputnik veniva lanciato sulla Luna: un amico dei miei genitori mi vide appena nata e siccome avevo dei capelli biondissimi, quasi lunari, suggerì di chiamarmi così.