Quando la prosa è tagliente come la più affilata delle daghe

0

Nel mare magnum della narrativa dell’Immaginario, non è una novità affermare che in Italia l’esterofilia regna sovrana in quanto, da sempre, i nostri connazionali che si cimentano nelle opere di speculative fiction vengono bistrattati. Si pensi, solo per citare un esempio, al fatto che molti di essi in passato si sono visti costretti a dissimulare la propria identità, utilizzando pseudonimi anglosassoni allo scopo di ottenere la possibilità di essere pubblicati dagli editori e di vendere una quantità maggiore dei propri libri.

Pare assurdo, ma tale circostanza viene spesso ricordata anche da Gianfranco de Turris che – nel corso di tutta la sua carriera che ormai ha superato ampiamente il mezzo secolo di attività – è stato il primo critico a battersi per dare spazio e dignità al fantastico italiano attraverso la curatela di centinaia di volumi, insieme all’inseparabile Sebastiano Fusco.

Dal canto mio, mi sono limitato a seguire questo percorso cercando di parlare in ogni anfratto, anche il più recondito, degli autori del nostro Paese. Ho evidenziato che essi, per stile e cultura, non hanno nulla da invidiare agli stranieri. Anzi, a dire il vero, sono questi ultimi a dovere imparare da noi e dalle nostre millenarie tradizioni.

Mi permetto di rilevare che queste mie affermazioni, ripetute più volte sulle colonne di questo illustre Giornale, di altri quotidiani e di svariate riviste, hanno causato nella migliore delle ipotesi ilarità e nella peggiore l’accusa di nazionalismo. Limitandomi alla prima, visto che la seconda è talmente risibile, abietta, vile e priva di fondamento da non meritare nemmeno una risposta, posso asserire a buon diritto che costoro non solo hanno torto, ma in questi giorni hanno altresì ricevuto una prova incontrovertibile della loro insipienza e della loro stoltezza.

Ora, veniamo al dunque.

Alessandro Manzetti ha vinto il Bram Stoker Award, cioè il più importante premio al mondo dedicato all’horror, con la poesia The Place of Broken Things

Alessandro Manzetti ha vinto il Bram Stoker Award, cioè il più importante premio al mondo dedicato all’horror, con la poesia The Place of Broken Things, scritta in collaborazione con Linda D. Addison e pubblicata nel 2019 dalla Crystal Lake Publishing. L’Autore romano ha compiuto un’impresa ancor più straordinaria perché ha aveva già centrato questo obiettivo nel 2015 e aveva ricevuto anche 10 nomination (Edizioni 2014, 2016, 2017, 2018, 2019), oltre a vincere l’SFPA Elgin Award nel 2019.

Manzetti deve il suo successo alla sua classe sopraffina e alla sua stoica determinazione. La sua prosa è tagliente come la più affilata delle daghe, in quanto fa ricorso a un registro linguistico barocco, suadente e ammaliante che lo differenzia in maniera radicale da tutti gli altri autori di narrativa dell’Immaginario italiano. Le sue opere, che all’occhio del lettore meno attento paiono essere un mero strumento atto a dipingere scenari distopici, violenti e disumani, hanno in realtà la funzione di mettere in scena una precisa critica sociale nei confronti del turpe modello economico-politico in cui viviamo. Infine, il suo retaggio culturale, che attinge a piene mani non sono dai classici, ma soprattutto dalle opere del Marchese de Sade e da quelle dei poeti maledetti, lo rendono ineguagliabile rispetto alla massa.

Se nel 1986 Domenico Cammarota si riferiva a Clark Ashton Smith come all’ultimo dei decadenti, oggi mi sento di affermare che si sbagliava, poiché questo titolo deve essere attribuito di diritto ad Alessandro Manzetti, il poeta oscuro dell’Apocalisse.