Altro che modernità, le “cittadelle del commercio” allargano le periferie

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Foto di Miguel Á. Padriñán da Pixabay

Si parla spesso di periferie. Talora con colpevole leggerezza, quando ci si riferisce alle estreme propaggini della città, connotandole semplicemente come luogo di degrado fisico e sociale e come inevitabile conseguenza di uno sviluppo incontrollato del territorio. Si traccia una linea di demarcazione fra centro e periferia, fra un contesto urbano definito e aree confinanti fortemente edificate per rispondere ad esigenze prevalentemente di tipo residenziale. Ci si dimentica che la complessità dei problemi, dovuti a una concentrazione accelerata e consistente di popolazione nelle zone di grande sviluppo, ha generato squilibri inevitabili, non risanati nel tempo, anzi aggravati dall’irrompere di flussi migratori della storia recente. La periferia diventa quindi il luogo delle contraddizioni, al di là di una semplice individuazione topografica, assume un significato più ampio che va indagato con attenzione e che va associato a un fenomeno di emarginazione strettamente collegato.

Infatti, periferie e emarginazione talora corrispondono. Chi vuole essere prudente o riduttivo parla semplicemente di degrado fisico, sapendo che a questo tipo di degrado si può rimediare, mentre con l’emarginazione i conti restano sempre aperti. Le periferie sono allo stesso tempo zone estreme delle città e zone estreme dei problemi sociali.

Il degrado fisico, quello delle costruzioni, è risolvibile con interventi tecnici di ristrutturazione o di ricostruzione ed è quello a cui si ricorre, quando sono disponibili le risorse economiche, come soluzione prevalente se non esclusiva. Diversamente il degrado sociale, conseguenza dell’emarginazione, non è facilmente risolvibile, anche ricorrendo a iniziative delle varie assistenze sociali, ostacolate e intralciate da una burocrazia spesso impotente ad affrontare problemi così complessi.

Serve anche un richiamo più ampio di natura culturale. Non si può ignorare che la risoluzione di vari e diversi problemi che irrompono nella modernità e con la modernità deve essere affrontata con una visione di insieme, senza pregiudizi culturali e sociali. In altri termini con la lucidità della ragione e senza condizionamenti ideologici. Questo accade anche nello sviluppo della città, quando, in modo arbitrario e semplicistico, si stabiliscono confini fra centro e periferia. Tuttavia, non si può ignorare la presenza ingombrante di un passato talora assai condizionante. Quello che Jean Baudrillard definisce come permanenza di rifiuti storici e intellettuali da mettere in conto insieme ai rifiuti industriali, una sorta di incrostazione storica da rimuovere.

Bisogna ricordare che la storia, riproponendo i simboli del passato, consegna alla vulgata modernista una interpretazione declinata in forme di richiamo nostalgico e decadente. Di questa contraffazione culturale ne è protagonista l’intellighenzia che conferma la sua vocazione di sala degli specchi del potere, con un volto poliedrico e inafferrabile. Concede alla città il contributo del proprio sapere tecnico e propone una convivenza virtuale fra conservazione e progresso. In realtà la città rimane un corpo separato e diviso al suo interno, senza una vera nuova identità. Solo un cambiamento culturale profondo, privo di ogni schematismo di maniera, può aprire il futuro ad una nuova prospettiva. Forse, a questo proposito, avevano ragione Debord e i Situazionisti nel cercare il superamento con una visione radicale, senza rincorrere improbabili tentativi di sintesi.

In un mondo così complesso anche la natura può trasformarsi in una natura residuale, insignificante e ingombrante. L’intorno della città declina indifferentemente in territori occupati, ma abbandonati, edifici dismessi e fatiscenti e zone compromesse da una crescita incontrollata. Un panorama desolante che l’insediamento di nuovi sistemi urbani fortemente centralizzati e strutturati, ad esempio cittadelle del commercio e del tempo libero, tendono a dilatare ulteriormente creando altri territori marginalizzati e destinati alla formazione residuale di nuove periferie.