Il mito di Roma ci è stato tramandato nei secoli da maestri come Tito Livio, Virgilio e Ovidio, che ci hanno narrato come Enea sia fuggito da Troia (ormai distrutta dagli Achei) e sia sbarcato nelle coste laziali per fondare una dinastia che avrebbe cambiato per sempre le sorti del mondo. Ancora oggi la Città Eterna continua a suggestionare la coscienza collettiva dell’uomo, in quanto possiede un patrimonio di bellezze storico-culturali e architettoniche uniche.
La capitale d’Italia diventa lo scenario di ambientazione de L’Occhio del Vate (Altaforte Edizioni, 304 pagine, 23 euro), thriller di Carlomanno Adinolfi in cui Valerio Pillari, un investigatore privato specializzato in testi antichi, viene incaricato da un avvocato di fare luce sull’Hypnerotomachia Poliphili, romanzo allegorico di autore incerto pubblicato a Venezia nel 1499. A fronte di un lauto compenso, la stramba offerta di lavoro viene accettata dal protagonista, che suo malgrado si trova catapultato in un intrigo dai risvolti politici nel quale si scontrano la massoneria, i servizi segreti e i gesuiti. I problemi di Pillari però non finiscono qui, perché la vicenda si intreccia con un misterioso medaglione fatto realizzare da Gabriele d’Annunzio, collegato ad ancestrali segreti celati dalla notte dei tempi nelle profondità telluriche di Roma.